Tremal-Naik, che era il piú agile di tutti, s’aggrappò alle gambe del colosso, raggiunse il petto, salí su un braccio finché poté mettersi a cavalcioni della testa. Legò una fune e la gettò ai compagni, dicendo:
– Presto: piú su la scalata sarà facile.
Sopra il gigante pendeva la tromba d’un elefante. Tremal-Naik vi si aggrappò, passò sopra la testa del pachiderma infissa in una colonna di dimensioni enormi e raggiunse facilmente il primo cornicione.
Sandokan ed i suoi compagni l’avevano seguito da vicino. Anche il francese, quantunque non potesse gareggiare per agilità con quegli uomini, non era rimasto indietro.
Sopra il cornicione vi erano altre statue che s’appoggiavano le une alle altre, alcune rappresentanti deideverkeli ossia semidei venerati dagl’indiani, abitatori delsorgon che è il paradiso di coloro che non hanno sufficienti meriti per andare nelcailasson o paradiso di Siva; altri le diverse incarnazioni di Visnú, testuggini, serpenti, mostri,nilgò , leoni e mezzi uomini, cavalli alati ecc.
Passando successivamente dall’uno all’altro, gli otto audaci giunsero finalmente sulla cima della cupola, arrestandosi dinanzi ad un foro circolare che era attraversato da una grossa sbarra di ferro su cui s’appoggiava una enorme palla di metallo dorato.
– È per di qua che sei anni or sono discesi, per veder la madre della povera Darma fare l’offerta del sangue dinanzi a Kalí, – disse Tremal-Naik con voce profondamente commossa.
– E per farti pugnalare da Suyodhana, – disse Sandokan.
– Sí, – rispose il bengalese con accento cupo.
– Vedremo se sarà capace di pugnalarci tutti otto.
Si era alzato sulle ginocchia e guardava attentamente verso la jungla, dove la tigre, che non aveva potuto seguirli, in quel momento si dirigeva.
– Sono là i nostri uomini, – disse. – Ecco Punthy che corre incontro alla tigre.
Al primo colpo di fucile accorreranno tutti e non risparmieranno nessuno.
– Avranno il tempo di scalare la cupola? – chiese Yanez.
– Kammamuri sa dove si trova la porta della pagoda, – rispose Tremal-Naik. – Basterà un petardo per farla saltare.
– Spicciamoci dunque, – disse Sandokan.
Tremal-Naik aveva afferrata una grossa corda, lucente come la seta, che pareva formata di fibre vegetali, e che pendeva verticalmente da sotto l’asta di ferro.
La scosse leggermente e dalla nera apertura salí un leggero tintinnio metallico.
– È la lampada, – disse.
– Lasciami il posto, – disse Sandokan. – Voglio essere io il primo a scendere.
– La statua è sotto la lampada e la sua testa è abbastanza larga per posarvi i piedi senza tema di cadere.
– Va bene.
Sandokan si assicurò le pistole ed ilparang alla fascia, si mise la carabina a bandoliera, poi s’aggrappò alla fune e si mise a scendere lentamente, senza scosse, onde non far oscillare e tintinnare la lampada.
L’interno della pagoda era oscuro, non essendovi alcuna torcia accesa e anche vi regnava un profondo silenzio.
Sandokan, completamente rassicurato, si lasciò scivolare piú rapidamente, finché sentí sotto di sé i bracci della lampada.
Abbandonò la fune aggrappandosi ad una traversa di metallo che aveva sentita sotto le mani e si lasciò penzolare.
I suoi piedi non tardarono ad incontrare un corpo duro e ruvido.
– Deve essere la testa della dea, – disse. – Non perdiamo l’equilibrio.
Quando si trovò bene appoggiato, lasciò la lampada e si lasciò scivolare lungo il corpo della dea che pareva fosse di dimensioni enormi, finché giunse a terra.
Guardò intorno senza poter nulla discernere, tanto era fitta l’oscurità; in alto dove scorgeva un lembo di cielo cosparso di stelle vide un’ombra calarsi attraverso il foro.
– Sarà Tremal-Naik, – mormorò.
Non si era ingannato: era il bengalese che si lasciava scivolare e che ben presto lo raggiunse dinanzi alla statua.
– Hai udito nessun rumore? – chiese l’indiano.
– Nessuno, – rispose Sandokan. – Si direbbe che i Thugs siano fuggiti.
Tremal-Naik si senti bagnare la fronte d’un sudore gelido.
– No, – disse. – È impossibile che siamo stati traditi.
– Eppure è quasi mezzanotte e credo che…
Un rombo assordante, che pareva provenisse di sotto terra, lo interruppe bruscamente.
– Che cos’è questo? – chiese.
– L’hauk, il grande tamburo delle cerimonie religiose, – rispose Tremal-Naik. – I Thugs non sono fuggiti e stanno raccogliendosi. Presto amici! Scendete!
Yanez era già sulla testa della divinità e gli altri udendo quel rimbombo si erano lasciati scivolare l’un dietro l’altro, col pericolo di spezzare la fune.
Risuonava un secondo colpo dell’haukquando gli otto uomini si trovarono riuniti.
– Là vi deve essere una nicchia, – disse Tremal-Naik, spingendo i compagni. – Nascondiamoci là dentro.
Dei fragori strani si udivano echeggiare sotto terra. Erano grida lontane, rulli di tamburi, squilli di tromba, rintocchi di campane.
Pareva che la rivoluzione fosse scoppiata fra gli abitanti di quegli immensi sotterranei. Tremal-Naik, Sandokan ed i loro compagni si erano appena rannicchiati nella nicchia, quando una porta s’aprí con fracasso e una banda di uomini, quasi interamente nudi e spalmati d’olio di cocco, irruppe nella pagoda con un urlío furioso.
Erano quaranta o cinquanta, muniti di torce, di lacci e di fazzoletti di seta colla palla di piombo, di pugnali e ditarwar .
Un vecchio, magro come unfakiro , con una lunga barba bianca, si era aperto violentemente il passo fra quella turba, gridando:
– Eccoli là i profanatori della pagoda! Distruggeteli.
Tremal-Naik e Sandokan avevano mandate due grida di stupore e anche di rabbia.
-Ilmanti !…
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