Avevamo già visitate parecchie di quelle torri, rinnovando qua e là i viveri, quando una sera, poco prima del tramonto, giungemmo dinanzi al rifugio di Sjawrah, che s’alzava ad un centinaio di metri dalla riva, essendo il terreno assai fangoso presso il fiume.
Avendo scorto molte oche volteggiare al di sopra dei canneti e anche delle antilopi a fuggire, mi unii ai due marinai incaricati di portare i viveri da depositare nella torre.
Avevo preso con me un fucile da caccia, per maggior precauzione mi ero anche armato d’una buona rivoltella di grosso calibro, essendo stato avvertito che potevo incontrare delle tigri o delle pantere.
Ci eravamo inoltrati sul sentiero che conduceva alla torre, aperto a colpi di scure fra un caos di bambú e di paletuvieri, quando udimmo ilmaster della scialuppa a urlare.
Nell’istesso momento vidi la scialuppa allontanarsi precipitosa mente dalla riva, per mettersi fuor di portata dagli assalti di quei feroci carnivori.
Badate, le pantere. Salvatevi nella torre!
Quell’avvertimento era appena giunto ai miei orecchi, quando udii dietro di me un rumore di rami spezzati.
Gettate i viveri e fuggite! gridai ai due marinai che mi precedevano.
Come potete credere, non si fecero ripetere l’ordine due volte Lasciarono cadere i carichi, e fuggirono a tutte gambe verso la torre che era ormai vicinissima.
Io mi ero slanciato dietro di loro, ma non ero ancora giunto alla base della scala, quando mi vidi alle spalle due enormi pantere, che spiccavano salti di cinque o sei metri per piombarmi addosso prima che potessi rifugiarmi sulla piattaforma della torre.
Il mio fucile era carico a pallini, tuttavia non esitai a servirmene e scaricai contro le due belve i miei due colpi.
Sarebbe stata una follia sperare di ucciderle, tuttavia vidi le pantere arrestarsi.
Ne approfittai per salire velocemente la scala. Ad onta della rapidità della mia ascensione, fui subito raggiunto dal maschio, il quale con un solo balzo cadde a metà della scala, seguito subito dalla compagna.
Il colpo fu cosí violento che per un momento credetti che i bambú cedessero.
Fortunatamente non avevo perduta la testa. Comprendendo che la mia pelle correva un pericolo gravissimo, passai il braccio sinistro attorno ad uno dei gradini per non venire trascinato a terra, coll’altro levai la rivoltella e feci fuoco tre volte, quasi a bruciapelo.
Il maschio, ferito al muso, cadde trascinando seco la femmina alla quale una palla aveva prodotta una ferita sotto la gola.
Erano appena a terra, che quelle terribili belve tornavano alla carica, slanciandosi nuovamente sulla scala.
Non avevo però perduto il mio tempo ed in quattro slanci mi ero messo al sicuro sulla piattaforma, dove i due marinai, impotenti a soccorrermi, non avendo alcuna arma, urlavano disperatamente.
Le belve facevano sforzi disperati per raggiungerci, aggrappandosi alle traverse colle loro poderose unghie.
Gettiamo la scala!, gridai ai due marinai.
Unendo i nostri sforzi la rovesciammo assieme alle due belve, senza pensare che, agendo in quel modo, ci toglievamo la possibilità di poter poi scendere per tornare a bordo della scialuppa.
– E rimaneste assediati? – disse Tremal-Naik.
– Tutta la notte, – rispose il tenente. – Le maledette bestie, quantunque ferite, non lasciarono i dintorni della torre colla speranza che noi ci decidessimo a scendere.
Al mattino ilmaster , avvertito da noi che le pantere si trovavano sempre sotto, fece accostare la scialuppa alla riva e fece tuonare replicatamente il piccolo cannone-revolver di cui era armata l’imbarcazione.
Alla seconda scarica le due belve caddero, cosí ilmaster ed i suoi uomini poterono sbarcare e rialzare la scala e liberarci.
– Sono peggiori delle tigri, – disse Sandokan.
– Piú audaci e anche piú risolute, signore, – rispose il francese.
– Oh! – esclamò in quel momento Yanez alzandosi precipitosamente.
– Guardate laggiú! Un lume! – Tutti avevano volti gli sguardi verso la direzione che il portoghese indicava colla mano.
Sulle tenebrose acque della pestilenziale laguna, si scorgeva infatti un punto luminoso a luce rossa, che pareva si avanzasse verso la torre.
Veniva da oriente e descriveva degli angoli, come se la scialuppa o la nave che illuminava corresse lievi bordate.
– Che sia il nostropraho ? – chiese Tremal-Naik.
– O la baleniera? – disse invece Yanez.
– A me sembra che non possa essere né l’uno, né l’altra, – disse Sandokan, dopo d’aver osservato attentamente quel punto luminoso che spiccava nettamente sulla nera superficie delle acque.
Entra mai nessun veliero in questa laguna, Tremal-Naik?
– Qualche barca di pescatori, – rispose il bengalese. – Potrebbero anche essere dei naufraghi.
Il ciclone che si è rovesciato sulla jungla avrà sconvolto anche il golfo del Bengala.
– Sarei lieto se quella scialuppa approdasse qui. Non avremmo piú bisogno di costruirci una zattera per raggiungere il nostropraho .
Deve avere delle vele quella imbarcazione. Non vedi Yanez che bordeggia?
– E vedo anche che si dirige a questa volta, – rispose il portoghese. – Se passerà dinanzi alla torre chiameremo l’attenzione del suo equipaggio con qualche colpo di fucile.
– Ciò che faremo anzi subito, – disse Sandokan. – Udendo degli spari, verranno qui.
Alzò la carabina e fece fuoco.
La detonazione si propagò con un rombo prolungato al disopra delle tenebrose acque, perdendosi in lontananza.
Non era trascorso un mezzo minuto che si vide il punto luminoso cambiare direzione e muovere direttamente verso la torre.
– Quando il sole spunterà quella imbarcazione sarà qui, – disse Sandokan. – Ecco laggiú che l’alba dirada le tenebre. Prepariamoci a lasciare la torre ed imbarcarci.
– E se quegli uomini si rifiutassero di prenderci a bordo? – chiese il francese.
– O piombo od oro, – rispose Sandokan, freddamente. – Vedremo se esiteranno.
Cornac, abbassa la scala: vengono in fretta.
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