Quel coraggioso, vedendo i suoi capi in pericolo, aveva assalito l’animale per di dietro e colla sua pesante sciabola gli aveva troncati di colpo i tendini delle gambe posteriori, producendogli due ferite che dovevano farlo in breve soccombere.
Infatti l’animale era subito caduto mandando un urlo spaventevole, ma tosto si rialzò. Quel momento però era stato bastante a Sandokan, a Yanez e anche al malese per mettersi in salvo su un masso colossale.
Per di piú i loro compagni avevano a loro volta fatto fuoco.
Il colosso, ferito in piú parti, colle gambe rovinate, girò tre o quattro volte su se stesso come se fosse impazzito, mandando clamori assordanti, poi d’un balzo si precipitò nello stagno, lasciando dietro di sé due strisce di sangue.
Cercava nell’acqua un sollievo alle ferite.
Per parecchi minuti si dibatté sollevando delle vere ondate rossastre, poi tentò di tornare verso la riva, e le forze lo tradirono.
Fu veduto sollevarsi un’ultima volta sulle gambe mutilate, poi cadere fra un gruppo di canne, mandando un urlo rauco.
Per alcuni istanti il suo corpaccio fu scosso da sussulti, quindi la massa s’irrigidí, affondando a poco a poco nella melma del fondo.
– Ha esalato l’ultimo respiro, – disse Yanez. – Bruto! Va’!
– Questi animali sono piú temibili delle tigri, – disse Sandokan, che osservava il corpaccio che affondava sempre. – Ha demolito la muraglia come se fosse stata di cartone.
Senza quelle due sciabolate non so come ce la saremmo cavata.
– Il tuo malese gli ha dato il colpo dell’elefante, è vero? – chiese Tremal-Naik.
– Sí, – rispose Sandokan. – Nei nostri paesi i pachidermi si uccidono recidendo loro i tendini delle gambe posteriori. È un metodo piú sicuro e che offre meno pericoli.
– Che peccato perdere il corno!
– Ci tieni ad averlo? La massa non affonda piú e la testa emerge.
– È un superbo trofeo di caccia.
– I nostri uomini s’incaricheranno di andarlo a tagliare. Ci accamperemo qui per un paio d’ore e faremo colazione. Fa troppo caldo per riprendere la marcia.
Essendovi presso le rovine della pagoda alcuni tamarindi che proiettavano una fresca ombra, si recarono là sotto a fare colazione.
I malesi avevano già levato dalle borse i viveri, consistenti in biscotti e carni conservate e banani che avevano raccolti sulla riva del fiume, prima di lasciare la torre dei naufraghi.
Il luogo era pittoresco e l’aria era meno soffocante che nella jungla, quantunque il sole versasse sullo stagno una vera pioggia di fuoco, producendo una evaporizzazione fortissima.
Un silenzio profondo regnava nella vicina jungla. Perfino gli uccelli acquatici, quegli eterni chiacehioroni, tacevano e parevano assopiti da quell’intenso calore.
Solo un gigantescoarghilah , alto quanto un uomo, colla testa calva e rognosa, traforata da due occhietti rotondi e rossi, ed un becco enorme appuntato ad imbuto, passeggiava gravemente sulla riva dello stagno, agitando di quando in quando le sue ali bianche fasciate di nero.
Yanez, Sandokan e Tremal-Naik, terminata la colazione, si erano spinti verso la pagoda osservando con viva curiosità le colonne e le muraglie che portavano numerose iscrizioni in sanscrito e che reggevano ancora delle statue semi-spezzate, raffiguranti elefanti, testuggini e animali fantastici.
– Che un tempo appartenesse ai Thugs? – chiese Yanez che aveva osservato sulla cima d’una colonna una figura che bene o male rassomigliava alla dea Kalí.
– No, – rispose Tremal-Naik. – Doveva essere dedicata a Visnú; vedo su tutte le colonne la figura d’un nano.
– Era un nano quel dio?
– Lo divenne nella sua quinta incarnazione, per reprimere l’orgoglio del gigante Bely che aveva vinto e cacciato gli dei dalsorgon , ossia dal paradiso.
– Un dio famoso il vostro Visnú.
– Il piú venerato dopo Brahma.
– E come ha fatto un nano a vincere un gigante? – chiese Sandokan, ridendo.
– Coll’astuzia. Visnú s’era prefisso di purgare il mondo da tutti gli esseri malvagi e orgogliosi che tormentavano l’umanità.
Dopo d’averne vinti moltissimi, pensò di domare anche Bely che spadroneggiava in cielo e in terra e gli si presentò sotto le forme d’un nano bramino.
– Il gigante in quel momento stava facendo un sacrificio. Visnú gli si rivolse per chiedergli tre passi di terreno onde potersi fabbricare una capanna.
Bely, padrone del mondo intero, rise dell’apparente imbecillità del nano e gli rispose che egli non doveva limitare la domanda a sí lieve cosa.
Visnú però insistette nella sua richiesta, dicendo che per un essere cosí piccolo tre passi di terreno erano sufficienti.
Il gigante glieli accordò e per assicurarlo del dono, gli versò sulle mani dell’acqua. Ma ecco che Visnú acquista subito una grandezza cosí prodigiosa da riempire col suo corpo l’universo intero: misurò la terra con un solo passo, il cielo con un altro e pel terzo intimò al gigante di mantenere la promessa fattargli di donargli ciò che aveva misurato.
Il gigante riconobbe subito Visnú e gli presentò la propria testa, ma il dio, soddisfatto di una tale sommissione lo mandò a governare il Pandalon e gli permise di tornare tutti gli anni sulla terra nel giorno della luna piena di novembre.
– Chissà allora quali eroiche imprese avrà compiuto durante le sue altre incarnazioni, – disse Yanez. – Erano ben bravi gli dei indiani in quelle lontane epoche. Si trasformavano a piacere loro, in giganti e in nani.
– E anche in animali, – disse Tremal-Naik. – Infatti nella sua prima incarnazione, secondo i nostri libri sacri, si tramutò in un pesce per salvare dal diluvio il re di Sattiaviradem e sua moglie…
– Ah! Anche voi ricordate il diluvio.
– I nostri libri sacri ne parlano. Nella seconda incarnazione, in una testuggine per riportare a galla dal mar di latte la montagna Mandraguiti onde trarne l’amurdonossia il liquore dell’immortalità; nella terza, in un cinghiale per squarciare il ventre al gigante Ereniacsciassen che si divertiva a sconquassare il mondo; nella quarta, in un animale mezzo uomo e mezzo leone per abbattere e bere il sangue del gigante Ereniano; nella quinta, sesta, settima, ottava e nona è sempre uomo.
– Quindi si è tramutato nove volte quel bravo dio, – disse Sandokan.
– Ma nella decima incarnazione, che avverrà alla fine dell’epoca presente, apparirà sotto le forme d’un cavallo con una sciabola in una zampa e uno scudo nell’altra.
– E che cosa verrà a fare? – chiese Yanez.
– I nostri sacerdoti dicono che scenderà sulla terra a distruggere tutti i malvagi. Allora il sole e la luna si oscureranno, il mondo tremerà, le stelle cadranno, ed il gran serpente Adissescien che ora dorme nel mar di latte, vomiterà tanto fuoco da abbruciare tutti i mondi e tutte le creature che li abitano.
– Speriamo di non essere piú vivi, – disse Yanez.
– Ci credi tu, alla discesa di quel terribile cavallo? – chiese Sandokan, con accento scherzevole al bengalese.
Tremal-Naik sorrise senza rispondere e si diresse verso lo stagno, dove i malesi stavano spaccando il muso del rinoceronte per levarne il corno. Dopo non pochi colpi diparangs erano riusciti a tagliarlo.
Misurava un metro e venti e terminava in una punta quasi aguzza, dovuta al continuo sfregamento, servendosene i rinoceronti non solo come arma difensiva, bensí anche per scavare la terra onde mettere allo scoperto certe radici di cui sono ghiotti e che costituiscono il loro principale nutrimento.
Quei corni non sono formati veramente da una sostanza ossea come quelli delle renne, delle alci e dei cervi, bensí da fibre aderenti le une alle altre o meglio, da peli agglutinati da materia cornea, suscettibile però a ricevere una bella pulitura e cosí resistenti da sfidare l’avorio.
Alle quattro pomeridiane, cessato un po’ il calore, il drappello lasciava lo stagno e rientrava nella jungla, riprendendo la lotta contro i bambú ed i calami.
Non ebbe però che una breve durata perché qualche ora dopo giungeva finalmente sul sentiero che da Khari va fino alla riva del Gange.
La marcia fu spinta allora con tale rapidità, che poco dopo il tramonto Tremal-Naik giungeva dinanzi al cancello del suobengalow .
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