Con due scariche di carabine spazzarono la cima della gradinata, poi malesi e dayachi si precipitarono dentro la pagoda. I loro avversari però non li avevano attesi.
Scoraggiati dalle enormi perdite subite, impotenti a misurarsi coi loro leggeritarwar contro le pesanti sciabole delle tigri di Mompracem, si erano rovesciati precipitosamente verso la galleria che conduceva nei sotterranei, chiudendo la porta che era pure di bronzo e non meno robusta di quella della pagoda.
– Ed il mio padrone? – gridò Kammamuri, non vedendo piú nessuno nella pagoda.
– E la Tigre della Malesia ed il signor Yanez?
– Che siano usciti da qualche altra parte? – disse Sambigliong.
– O che siano stati fatti prigionieri? – disse il maharatto. – Qui erano pure venuti ed erano essi che facevano fuoco. Guarda quei morti che si trovano intorno alla statua di Kalí. Sono stati uccisi da loro, ne sono certo.
Una profonda ansietà si era impadronita di tutti, ignorando quanto era avvenuto fra il drappello di Sandokan ed i Thugs.
– Sambigliong, – disse Kammamuri, dopo alcuni istanti d’angoscioso silenzio. – Facciamo saltare la porta ed invadiamo i sotterranei.
– Credi che la Tigre si trovi là dentro? – chiese il mastro.
– Se qui non vi sono piú e non abbiamo veduto uscire alcuno, significa che sono penetrati nella galleria.
Affrettiamoci: forse sono in pericolo.
– Collocate due petardi, – comandò Sambigliong, – caricate le carabine e accendete delle torce.
I malesi che portavano le bombe stavano per obbedire, quando una porticina simulata dietro una statua rappresentante l’ottava incarnazione di Visnú s’aprí ed una fanciulla munita d’una fiaccola si slanciò nella pagoda, gridando:
– Ilsahib bianco ed i suoi amici s’annegano! Salvateli!
– Surama! – avevano esclamato Kammamuri e Sambigliong, correndo verso la giovane.
– Salvateli! – ripeté la bajadera che aveva le lagrime agli occhi.
– Dove sono? – chiese Kammamuri
– In una delle caverne della galleria. I Thugs hanno tagliato il tubo che li fornisce d’acqua e l’hanno allagata per affogare ilsahib bianco, la Tigre e gli altri.
– Sapresti condurci fino a loro?
– Sí, conosco la galleria.
– Giú la porta! – gridò Sambigliong.
Due petardi furono accesi e messi a terra, poi i pirati retrocessero precipitosamente fino sulla gradinata della pagoda.
Dieci secondi dopo, la porta, sfondata dallo scoppio delle due bombe, rovinava a terra.
– Sta’ dietro di noi, Surama, – disse Kammamuri, prendendo una torcia. – Su, di corsa tigri di Mompracem!
Si cacciarono nella tenebrosa galleria, spingendosi gli uni con gli altri, tutti volendo essere i primi ad accorrere in aiuto della Tigre della Malesia; poi percorsi cento passi, furono arrestati da un’altra porta.
– Ve n’è ancora un’altra piú innanzi, – disse Surama. – Quella che chiude la caverna dove sono prigionieri i vostri capi.
– Fortunatamente abbiamo ancora una mezza dozzina di petardi, – rispose Sambigliong.
Retrocessero dopo aver accesa la miccia.
L’esplosione che avvenne fu cosí formidabile che tutti i pirati caddero l’uno sull’altro sotto la spinta dell’aria, però anche la porta aveva ceduto.
– Avanti! – comandarono Kammamuri e Sambigliong. Ripresero la corsa inoltrandosi sotto quelle oscure volte, finché giunsero dinanzi alla terza porta.
Al di là si udiva un rombo strano come se una cateratta d’acqua precipitasse da un’altezza considerevole.
– Sono lí dentro, – disse Surama.
– Capitano! Signor Yanez! – gridò Kammamuri con voce tuonante. – M’intendete voi?
Quantunque il fragore continuasse, udí distintamente la voce vibrante di Sandokan a gridare:
– Siete i nostri uomini?
– Sí, signor Sandokan.
– Affrettatevi a sfondare la porta: abbiamo l’acqua fino alla gola.
– Allontanatevi tutti; collochiamo il petardo.
– Da’ pure fuoco, – rispose Sandokan.
La bomba fu posta dietro la porta, poi i pirati si ritrassero rapidamente nel corridoio, portandosi duecento passi piú indietro, entro una galleria laterale che si biforcava.
Essendo stata la miccia tagliata onde lo scoppio avvenisse senza ritardi, la detonazione non si fece attendere molto.
– Le armi pronte! – gridò Sambigliong slanciandosi avanti.
Tutti gli si erano slanciati dietro. Avevano percorsi cinquanta metri quando un torrente d’acqua che si rovesciava attraverso la galleria col fragore del tuono li investí rigettandoli indietro.
Era una vera ondata che cessò però quasi subito, sfuggendo nella galleria laterale che aveva una forte pendenza.
Un momento dopo videro due torce brillare in direzione della caverna, poi udirono la voce di Sandokan a gridare:
– Non fate fuoco!… Siamo noi!…
Un urlo di gioia sfuggito da trenta petti salutò la comparsa della Tigre della Malesia e dei suoi compagni.
– Salvi!… Salvi!… Evviva il capitano!…
Vi era ancora molta acqua nella galleria perché ne usciva sempre dalla caverna, però giungeva a malapena fino alle anche dei pirati.
Sandokan e Yanez, scorgendo Surama, non avevano potuto frenare un grido di stupore.
– Tu, fanciulla! – avevano esclamato.
– Ed è a questa brava bajadera che dovete anche la vostra vita, signori, – aggiunse Kammamuri.
– E stata lei ad avvertirci che eravate rinchiusi in una caverna ed in pericolo di affogare.
– Chi te lo aveva detto, Surama? – chiese Yanez.
– Lo avevo saputo dai Thugs incaricati di tagliare i canali d’acqua. Vi avevano attirati appositamente in quell’antro per annegarvi, – rispose la fanciulla.
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