Stavano per entrare in una delle stanze, quando Tremal-Naik urlò contro un vaso, rovesciandolo.
– Maledizione! – mormorò il bengalese.
Un’ombra era improvvisamente comparsa dietro i vetri. Si fermò un momento, guardando sulla terrazza, poi aprí la porta.
Quasi subito un uomo gli piombò addosso, afferrandolo strettamente pei polsi e facendogli cadere, con una stretta terribile, la pistola che impugnava. Era Sandokan che assaliva la Tigre dell’India.
Con una spinta irresistibile, cacciò Suyodhana entro la stanza che era illuminata da una lampada, dicendogli freddamente:
– Se mandi un grido, sei morto!
Il capo dei Thugs era rimasto cosí sorpreso da quell’improvviso attacco, che non aveva nemmeno pensato ad opporre resistenza.
Quando però vide comparire dietro a Sandokan, Tremal-Naik, e poi Sirdar, un urlo di furore gli sfuggí dalle labbra.
– Il padre della piccola« Vergine della pagoda»! – esclamò, digrignando i denti. – Che cosa vuoi tu?… Come ti trovi qui?
– Vengo a riprendermi mia figlia, miserabile! – urlò Tremal-Naik. – Dov’è?
Il terribile capo degli strangolatori era rimasto silenzioso.
Colle braccia strette sul petto, lo sguardo cupo, i lineamenti sconvolti, guardava i suoi nemici, fissando soprattutto Sirdar.
Era un avversario degno della Tigre della Malesia: alto, tutto muscoli e nervi, con larghe spalle, il volto fiero, reso maggiormente duro da una lunga barba già brizzolata, gli occhi nerissimi che parevano iniettati di sangue.
Stette alcuni secondi immobile, dardeggiando sui suoi avversari uno sguardo feroce, poi disse con voce dura:
– Siete voi, è vero, coloro che mi hanno dichiarata la guerra?
– Sí, siamo noi che abbiamo anche distrutti ed inondati i sotterranei di Rajmangal ed i loro abitanti, – rispose Sandokan.
– Che cosa vuoi tu e chi sei? – chiese Suyodhana.
– Un uomo che porta un nome che un giorno ha fatto tremare tutti i popoli delle isole della Malesia e che è venuto qui appositamente per distruggere la tua setta infame.
– E tu credi?…
– Che avrò la tua pelle e anche la bambina che hai rapita a Tremal-Naik.
– Ti reputi ben forte: è vero che siete in quattro.
– La Tigre della Malesia affronterà sola la Tigre dell’India, – disse Sandokan.
Un sorriso d’incredulità sfiorò le labbra di Suyodhana.
– Quando ti avrò ucciso, gli altri mi assaliranno, – rispose Suyodhana. – Il «padre delle sacre acque del Gange» saprà difendere contro voi anche colei che ormai incarna sulla terra la possente Kalí.
– Miserabile! – urlò Tremal-Naik, facendo atto di gettarsi su di lui.
Sandokan con gesto imperioso lo trattenne.
Il capo degli strangolatori, rapido come un fulmine, approfittò di quel momento in cui Sandokan si era voltato per raccogliere la pistola che giaceva ancora a terra.
Senza pronunciare una parola la puntò verso la Tigre della Malesia e gliela scaricò addosso a tre passi di distanza, ma fu forse appunto quel breve tratto che gli fece mancare l’avversario e anche la troppa precipitazione.
– Ah! Traditore! – gridò il pirata, gettando la carabina e sguainando il lungo pugnale che portava alla cintola. – Potrei assassinarti: preferisco combatterti.
Suyodhana con un balzo da tigre si era gettato dinanzi alla porta che metteva in una stanza nella quale forse si trovava coricata la piccola Darma, gridando:
– Bisognerà passare sul mio corpo!
Anche nella sua destra scintillava una specie ditarwar dalla lama leggermente ricurva e lunga quasi quanto quella di Sandokan.
– Che nessuno interrompa la lotta delle due tigri, – disse il pirata. – A noi due, Suyodhana.
– Prima te e poi Sirdar, – rispose il capo dei Thugs con voce cupa. – Il traditore non sfuggirà alla punizione che l’attende.
Si erano messi entrambi in guardia, raccolti su se stessi come due tigri pronte a scattare, col braccio sinistro ripiegato dinanzi al petto in modo da coprire il cuore ed il pugnale all’altezza del viso.
L’uno doveva valere l’altro, perché entrambi, quantunque non piú giovani, possedevano ancora un’agilità straordinaria ed una forza poco comune.
Un profondo silenzio regnò per alcuni secondi nella stanza.
Yanez, appoggiato ad un enorme vaso di porcellana, fumava flemmaticamente l’eterna sigaretta senza dimostrare la menoma apprensione; Sirdar, rannicchiato in un angolo, stringeva fra le mani untarwar , pronto a prendere parte alla lotta; Tremal-Naik, visibilmente commosso, tormentava il grilletto della sua carabina risoluto a non lasciarsi sfuggire ilthug , quantunque avesse promesso a Sandokan di non intervenire.
I due avversari si guardarono per qualche po’, provocandosi cogli sguardi, poi la Tigre della Malesia vedendo che l’avversario non accennava ad assalire, si slanciò tentando di colpirlo alla gola.
Suyodhana con un salto si sottrasse al contatto, parò il colpo colla punta del pugnale, poi abbassatosi si fece sotto a Sandokan cercando di squarciargli il ventre.
Nel fare però quell’atto scivolò sul pavimento lucidissimo, cadendo su un ginocchio. Prima che avesse potuto rialzarsi e rimettersi in guardia, il pugnale della Tigre della Malesia gli entrava nel petto fino alla guardia, spaccandogli il cuore.
Ilthug rimase un momento col corpo ancora diritto, gettando sul suo avversario un ultimo sguardo d’odio, poi s’accasciò, mentre un getto di sangue gli usciva dalle labbra.
La Tigre dell’India era morta! Tremal-Naik e Yanez, vedendola cadere, si erano slanciati nella stanza vicina dove in un ricco lettino, incrostato di madreperla, dormiva fra coperte e lenzuola di seta una bambina dai capelli biondi.
Tremal-Naik con un rapido gesto l’aveva sollevata, stringendola freneticamente fra le braccia.
– Darma! Bambina mia!
– Babbo! – aveva risposto la piccina, fissando sul bengalese i suoi occhioni azzurri.
Nel medesimo istante un rombo formidabile scosse la casa fino alle fondamenta, seguito da un clamore immenso e da un furioso tuonare d’artiglierie e di carabine.
– Gli inglesi! – s’udí a gridare Sandokan, che si era precipitato verso la veranda. – Sono saltati gli ultimi bastioni!
Sí, erano gl’inglesi che, tramutati in ladri ed assassini, avevano fatta irruzione nella città saccheggiando e massacrando la popolazione che fuggiva e che davano un ben triste saggio della civiltà europea.
Fino dal giorno prima avevano prese tutte le misure per un assalto generale, occupando la linea di difesa della trincea d’acqua, la trincea del bastione dei Mori e la porta di Cascemir ed ai primi albori si erano rovesciati sulla città dopo un terribile combattimento sostenuto dinanzi la porta di Cabul, dove gl’insorti spiegarono un coraggio straordinario, uccidendo agl’invasori cinquecento uomini, otto ufficiali e ferendo il generale Nicholson.
Urla spaventevoli s’alzavano da tutte le vie, accompagnate da scariche tremende. Si combatteva disperatamente dappertutto mentre le donne e parte degli abitanti fuggivano in massa verso il ponte di barche per sottrarsi alla strage.
– Fuggiamo anche noi, – disse Sandokan, che vedeva avanzarsi al galoppo alcuni squadroni di cavalleria che sciabolavano senza misericordia i fuggiaschi, uomini, donne e fanciulli travolgendoli sotto le zampe dei cavalli. Se ci sorprendono qui potrebbero passarci a fil di spada, quantunque possediamo la lettera del governatore ed il salva-condotto. Cerchiamo, se è possibile, di riguadagnare il nostrobengalow .
Avvolgi Darma in una coperta, Tremal-Naik, e sgombriamo senza perdere tempo.
Presero le carabine e scesero le scale a precipizio. Dietro la palazzina s’apriva un vasto cortile che confinava con dei giardini.
– Varchiamo la cinta e rifugiamoci fra le piante, – disse Sandokan. – Lasciamo passare la cavalleria.
Stavano per scalarla, quando la porta del cortile fu abbattuta e una frotta di fuggiaschi, per la maggior parte donne e fanciulli, vi si precipitò dentro mandando urla disperate.
– Troppo tardi! – esclamò Sandokan, afferrando la carabina. – Eccoci in un bell’impiccio!
Sette od otto cavalieri, che avevano le sciabole insanguinate fino all’elsa, avevano fatta pure irruzione, urlando ferocemente:
– Ammazza! ammazza!
Sandokan con un salto si era gettato dinanzi ai fuggiaschi che si erano rifugiati, piangendo e gridando, in un angolo ed aveva puntata risolutamente la carabina verso i soldati, che si preparavano a massacrare quegli infelici.
– Fermi, bricconi! – tuonò. – Voi disonorate l’armata inglese! Fermi o vi fuciliamo come cani idrofobi!
Tremal-Naik, affidata la piccola Darma a Sirdar, e Yanez si erano collocati ai suoi fianchi, coi fucili imbracciati.
– Spazzare via quei miserabili! – gridò il sergente che comandava il drappello.
– Bada! – disse Sandokan. – Noi abbiamo un salva-condotto del governatore del Bengala e se non obbedisci ci difenderemo.
– Giú a sciabolate! – comandò invece il sergente.
Già i suoi uomini stavano per lanciare i cavalli, quando un ufficiale seguito da una dozzina di cavalieri, fra i quali se ne vedevano alcuni di colore, entrò nel cortile gridando:
– Fermi tutti!
Era il luogotenente de Lussac che giungeva coi malesi lasciati albengalow .
Balzò a terra stringendo la mano a Sandokan ed ai suoi amici, poi volgendosi verso il sergente che lo guardava confuso, gli disse:
– Vattene! Questi uomini hanno reso al tuo paese un servigio tale, che nessuna ricompensa basterebbe a pagarli. Vattene e ricordati che è da vile assassinare delle donne.
Mentre i cavalleggeri uscivano precipitosamente, dai suoi fece rinchiudere la porta, dicendo:
– Aspettiamo la fine della battaglia, amici. Io son qui a proteggervi.
– Avrei amato meglio andarmene, – rispose Sandokan. – Non abbiamo piú nulla da fare qui.
– Domani, se le stragi saranno finite. Povera Delhi! Quanto sangue! Qui l’esercito inglese vi lascerà il suo onore!
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