Numerosi cavalieri scorazzavano i dintorni, saccheggiando le borgate che gl’inglesi avevano sgombrate al mattino.
Vedendo avanzarsi quel gruppo armato, un drappello di saccheggiatori guidato da unsubadhar , s’avanzò intimando loro di arrestarsi. Tremal-Nalk che si era messo alla testa, fu pronto a obbedire.
– Ove andate? – chiese ilsubadhar .
– A Delhi, – rispose il bengalese, – per difendere la bandiera della libertà indú.
– Da dove venite?
– Da Merut.
– Come avete fatto ad oltrepassare le linee inglesi?
– Abbiamo approfittato della sconfitta che avete loro inflitto stamane, per girare il loro accampamento.
– È vero che hanno ricevuti molti cannoni?
– Un intero parco d’assedio, che metteranno in batteria questa notte.
– Maledetti cani! – gridò ilsubadhar digrignando i denti. – Vogliono prenderci, ma vedremo se riusciranno. Siamo in buon numero entro la città e tutti risoluti a farci uccidere piuttosto che arrenderci. Conosciamo troppo bene la pretesa civiltà degl’inglesi, che si riassume in una sola parola: distruggere.
– È vero, – disse Sandokan. – Ci fate entrare in città? Abbiamo fretta di combattere e poi siamo stanchissimi e affamati
– Nessuno può varcare la porta di Turcoman senza subire prima un interrogatorio dal comandante delle truppe operanti fuori dei bastioni.
Io non dubito che voi siate degli insorti, dei fratelli; nondimeno io devo obbedire agli ordini ricevuti.
– Chi è il comandante? -. chiese Tremal-Naik.
– Abú-Assam, un mussulmano che ha abbracciata la nostra causa e che ha dato prove non dubbie della sua fedeltà e del suo valore.
– Dove si trova?
– Nella borgata piú avanzata.
– Dormirà a quest’ora, – disse Sandokan. – Mi spiacerebbe passare la notte fuori di Delhi.
– Vi offrirò alloggio e vitto: seguitemi. Il tempo è troppo prezioso per noi.
Ilsubadhar fece cenno ai suoi uomini di circondare il piccolo drappello e di armare i moschetti, poi si mise in marcia a piccolo trotto.
– Non avevo prevista questa cosa, – mormorò Tremal-Naik volgendosi verso Sandokan che era diventato pensieroso. – Potremo cavarcela bene?
– Mi sento prendere da un irresistibile desiderio di caricare a fondo questi saccheggiatori e di disperderli. Non resisterebbero ad un vigoroso attacco, quantunque siano quattro volte piú numerosi di noi.
– E dopo? Credi tu che noi potremmo entrare indisturbati nella città santa? Non vedi laggiú altri drappelli di saccheggiatori che scorazzano la campagna? Ai primi colpi di fuoco li avremmo tutti addosso.
– È la loro presenza che mi ha trattenuto finora, – rispose Sandokan.
– D’altronde che cosa abbiamo noi da temere da un interrogatorio?
– Che cosa vuoi, amico Tremal-Naik, oggi sono piú diffidente che mai. Vi possono essere dei Thugs nella borgata, e potrebbero riconoscerti.
Il bengalese provò un brivido.
– Non sarebbe una bella avventura, né piacevole, – rispose poi. – Bah! Forse esageriamo nei nostri timori.
Erano le dieci quando giunsero dinanzi ad una borgatella semi-distrutta, formata da due dozzine di capanne sconquassate.
Numerosi fuochi ardevano qua e là, facendo scintillare grossi fasci di fucili; e molti uomini d’aspetto brigantesco, con immen turbanti e le fasce ripiene di pistoloni, dijatagan e ditarwar , s’aggiravano fra una moltitudine di cavalli.
– È qui che abita il capo? – chiese Sandokan alsubadhar .
– Sí, – rispose l’interrogato.
Fece far largo alla sua scorta e si arrestò dinanzi ad una piccola capanna col tetto crollante, che era ingombra di insorti coricati su ammassi di foglie secche.
– Lasciate il posto, – disse con un tono cosí imperioso da non ammettere replica.
Quando i soldati se ne furono andati, pregò Sandokan ed i suoi compagni di entrare, scusandosi di non avere pel momento di meglio, ma promettendo che avrebbe mandato loro la cena.
Lasciò la scorta a guardia della casupola e s’allontanò a piedi, strascinando rumorosamente la sua enorme scimitarra.
– Bel palazzo che ci hanno offerto, – disse Yanez, che non aveva perduto un atomo del suo solito buon umore.
– Scherzi, fratello? – disse Sandokan.
– Dovrei piangere perché non ci hanno assegnato un posto migliore? Vi sono delle foglie che surrogheranno i letti e che ci basteranno per fare una buona dormita, dopo d’aver riempito il ventre, se la cena arriverà.
Già prevedo che non entreremo in Delhi prima di domani mattina.
– Se vi entreremo, – rispose Sandokan, che pareva tormentato da qualche presentimento.
Yanez stava per rispondere quando entrò un soldato che indossava ancora la divisa deicipayes , portando una fiaccola ed un canestro che pareva contenesse la cena. Si era appena inoltrato sotto la casupola, quando mandò un grido di sorpresa e di gioia.
– Il signor Tremal-Naik!
– Bedar! – esclamò il bengalese, avvicinandoglisi. – Che cosa fai qui? Uncipai che ha combattuto sotto gli ordini del capitano Macpherson fra i ribelli!
L’insorto fece un gesto vago, poi disse:
– Il padrone non è qui e poi l’ho rotta anch’io completamente cogl’inglesi. I miei camerati hanno disertato ed io li ho seguiti. E voi, signore, perché siete venuto qui? Avreste abbracciata la nostra causa?
– Sí e no, – rispose il bengalese.
– Ecco una risposta non troppo chiara, signore, – disse ilcipai ridendo. – Comunque sia lo scopo che qui vi ha condotto sono ben lieto di vedervi e lo sarò doppiamente se potrò esservi utile.
– Vedremo piú tardi e ti spiegherò meglio perché mi trovo dinanzi alla città santa.
– Ah!
– Cos’hai?
– Ci devono essere i Thugs lí sotto?
– Taci per ora. Che cosa ci hai recato Bedar?
– La cena, signore, un po’ magra a dire il vero, ma i viveri non abbondano mai quando si è in campagna. Un po’ d’antilope arrostita, delle focacce e una bottiglia di vino di palma.
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