L’insurrezione indiana (seconda parte)

Numerosi cavalieri scorazzavano i dintorni, saccheggiando le borgate che gl’inglesi avevano sgombrate al mattino.

Vedendo avanzarsi quel gruppo armato, un drappello di saccheggiatori guidato da unsubadhar , s’avanzò intimando loro di arrestarsi. Tremal-Nalk che si era messo alla testa, fu pronto a obbedire.

– Ove andate? – chiese ilsubadhar .

– A Delhi, – rispose il bengalese, – per difendere la bandiera della libertà indú.

– Da dove venite?

– Da Merut.

– Come avete fatto ad oltrepassare le linee inglesi?

– Abbiamo approfittato della sconfitta che avete loro inflitto stamane, per girare il loro accampamento.

– È vero che hanno ricevuti molti cannoni?

– Un intero parco d’assedio, che metteranno in batteria questa notte.

– Maledetti cani! – gridò ilsubadhar digrignando i denti. – Vogliono prenderci, ma vedremo se riusciranno. Siamo in buon numero entro la città e tutti risoluti a farci uccidere piuttosto che arrenderci. Conosciamo troppo bene la pretesa civiltà degl’inglesi, che si riassume in una sola parola: distruggere.

– È vero, – disse Sandokan. – Ci fate entrare in città? Abbiamo fretta di combattere e poi siamo stanchissimi e affamati

– Nessuno può varcare la porta di Turcoman senza subire prima un interrogatorio dal comandante delle truppe operanti fuori dei bastioni.

Io non dubito che voi siate degli insorti, dei fratelli; nondimeno io devo obbedire agli ordini ricevuti.

– Chi è il comandante? -. chiese Tremal-Naik.

– Abú-Assam, un mussulmano che ha abbracciata la nostra causa e che ha dato prove non dubbie della sua fedeltà e del suo valore.

– Dove si trova?

– Nella borgata piú avanzata.

– Dormirà a quest’ora, – disse Sandokan. – Mi spiacerebbe passare la notte fuori di Delhi.

– Vi offrirò alloggio e vitto: seguitemi. Il tempo è troppo prezioso per noi.

Ilsubadhar fece cenno ai suoi uomini di circondare il piccolo drappello e di armare i moschetti, poi si mise in marcia a piccolo trotto.

– Non avevo prevista questa cosa, – mormorò Tremal-Naik volgendosi verso Sandokan che era diventato pensieroso. – Potremo cavarcela bene?

– Mi sento prendere da un irresistibile desiderio di caricare a fondo questi saccheggiatori e di disperderli. Non resisterebbero ad un vigoroso attacco, quantunque siano quattro volte piú numerosi di noi.

– E dopo? Credi tu che noi potremmo entrare indisturbati nella città santa? Non vedi laggiú altri drappelli di saccheggiatori che scorazzano la campagna? Ai primi colpi di fuoco li avremmo tutti addosso.

– È la loro presenza che mi ha trattenuto finora, – rispose Sandokan.

– D’altronde che cosa abbiamo noi da temere da un interrogatorio?

– Che cosa vuoi, amico Tremal-Naik, oggi sono piú diffidente che mai. Vi possono essere dei Thugs nella borgata, e potrebbero riconoscerti.

Il bengalese provò un brivido.

– Non sarebbe una bella avventura, né piacevole, – rispose poi. – Bah! Forse esageriamo nei nostri timori.

Erano le dieci quando giunsero dinanzi ad una borgatella semi-distrutta, formata da due dozzine di capanne sconquassate.

Numerosi fuochi ardevano qua e là, facendo scintillare grossi fasci di fucili; e molti uomini d’aspetto brigantesco, con immen turbanti e le fasce ripiene di pistoloni, dijatagan e ditarwar , s’aggiravano fra una moltitudine di cavalli.

– È qui che abita il capo? – chiese Sandokan alsubadhar .

– Sí, – rispose l’interrogato.

Fece far largo alla sua scorta e si arrestò dinanzi ad una piccola capanna col tetto crollante, che era ingombra di insorti coricati su ammassi di foglie secche.

– Lasciate il posto, – disse con un tono cosí imperioso da non ammettere replica.

Quando i soldati se ne furono andati, pregò Sandokan ed i suoi compagni di entrare, scusandosi di non avere pel momento di meglio, ma promettendo che avrebbe mandato loro la cena.

Lasciò la scorta a guardia della casupola e s’allontanò a piedi, strascinando rumorosamente la sua enorme scimitarra.

– Bel palazzo che ci hanno offerto, – disse Yanez, che non aveva perduto un atomo del suo solito buon umore.

– Scherzi, fratello? – disse Sandokan.

– Dovrei piangere perché non ci hanno assegnato un posto migliore? Vi sono delle foglie che surrogheranno i letti e che ci basteranno per fare una buona dormita, dopo d’aver riempito il ventre, se la cena arriverà.

Già prevedo che non entreremo in Delhi prima di domani mattina.

– Se vi entreremo, – rispose Sandokan, che pareva tormentato da qualche presentimento.

Yanez stava per rispondere quando entrò un soldato che indossava ancora la divisa deicipayes , portando una fiaccola ed un canestro che pareva contenesse la cena. Si era appena inoltrato sotto la casupola, quando mandò un grido di sorpresa e di gioia.

– Il signor Tremal-Naik!

– Bedar! – esclamò il bengalese, avvicinandoglisi. – Che cosa fai qui? Uncipai che ha combattuto sotto gli ordini del capitano Macpherson fra i ribelli!

L’insorto fece un gesto vago, poi disse:

– Il padrone non è qui e poi l’ho rotta anch’io completamente cogl’inglesi. I miei camerati hanno disertato ed io li ho seguiti. E voi, signore, perché siete venuto qui? Avreste abbracciata la nostra causa?

– Sí e no, – rispose il bengalese.

– Ecco una risposta non troppo chiara, signore, – disse ilcipai ridendo. – Comunque sia lo scopo che qui vi ha condotto sono ben lieto di vedervi e lo sarò doppiamente se potrò esservi utile.

– Vedremo piú tardi e ti spiegherò meglio perché mi trovo dinanzi alla città santa.

– Ah!

– Cos’hai?

– Ci devono essere i Thugs lí sotto?

– Taci per ora. Che cosa ci hai recato Bedar?

– La cena, signore, un po’ magra a dire il vero, ma i viveri non abbondano mai quando si è in campagna. Un po’ d’antilope arrostita, delle focacce e una bottiglia di vino di palma.

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