L’isola di Rajmangal (prima parte)

Ventiquattro ore dopo, la pinassa lasciava la piccola cala entro cui trovavasi nascosta laMarianna , per andare a sorprendere i Thugs nel loro covo e strappare a loro la piccola Darma.

La fuga delmanti , quantunque vi fosse molto da dubitare che egli fosse riuscito a varcare gli ampi canali delle Sunderbunds infestati da voraci gaviali ed attraversare le isole, pullulanti di tigri, di pantere, di formidabili boa e di velenosissimicobra -capello, aveva deciso Sandokan ad affrettare la spedizione.

Tutto l’equipaggio era stato imbarcato sul piccolo veliero, con grande scorta di armi e di munizioni e con due spingarde di rinforzo. Solo sei uomini, quelli che la baleniera aveva ricondotti dalla torre di Barrekporre assieme alcornac , eran stati lasciati sulpraho , il quale d’altronde non poteva correre alcun pericolo da parte dei Thugs, nascosto come era in fondo a quella cala forse a tutti sconosciuta.

Il piccolo legno, carico quasi da affondare, invece di scendere verso il mare e costeggiare le Teste di sabbia che servono da argine all’irrompere delle onde del golfo bengalino, ciò che avrebbe fatto risparmiare non poca via, si era diretto verso settentrione per girare la laguna interna.

Tenendosi fra le isole, vi erano meno probabilità che il veliero potesse venire segnalato e perciò i tre capi della spedizione avevano data la preferenza alla laguna anziché al mare.

Il loro progetto era ormai stato attentamente studiato, affidandone la parte principale a Sirdar, di cui ormai potevano interamente fidarsi. Avevano convenuto di agire dapprima colla massima prudenza e di giuocare d’astuzia per mettere innanzi a tutto in salvo la piccola Darma, riservando a piú tardi il colpo terribile che, se riusciva, avrebbe dovuto distruggere totalmente quella sanguinaria setta e far scomparire per sempre la Tigre dell’India.

Il vento, che fino dal mattino era girato al sud, favoriva la corsa della pinassa la quale, quantunque assai carica, si mostrava sempre assai maneggevole.

Quattro ore dopo la sua partenza dalla cala, ossia poco prima di mezzodí, il piccolo veliero aveva già raggiunta la punta settentrionale di Raimatla ed entrava a gonfie vele nella grande laguna interna che si estende dalle rive della jungla gangetica alle isole che formano le Sunderbunds.

– Se il vento non cessa, – disse Tremal-Naik a Sandokan, che osservava con una certa curiosità quelle terre basse coperte dagli alberi della febbre, – prima di mezzanotte noi saremo nel cimitero galleggiante del Mangal.

– Sei certo che troveremo un buon posto per celarvi la pinassa?

– Il Mangal lo conosco palmo a palmo, perché era sulle sue rive che io abitavo quand’ero il «cacciatore di tigri e di serpenti della jungla nera».

Chissà che non sussista ancora la capanna che mi serví d’asilo per lunghi anni. La rivedrei volentieri, perché fu in quei dintorni che vidi per la prima volta colei che doveva diventare mia moglie.

– Ada?

– Sí, – disse Tremal-Naik con un profondo sospiro, mentre una profonda commozione alterava il suo volto. Era una bella sera d’estate, il sole calava lentamente dietro le canne giganti fra un oceano di fuoco, quand’ella apparve, bella come una dea, fra un cespuglio di mussenda. Ah! La dolce e cara visione!

– Come, i Thugs permettevano alla «Vergine della pagoda» di passeggiare per la jungla?

– Che cosa potevano temere? Che fuggisse forse? Sapevano che non avrebbe osato attraversare la immensa jungla e poi ignoravano, credo, la mia presenza in quei luoghi.

– E ti appariva tutte le sere?

– Sí, verso l’ora del tramonto e ci guardavamo a lungo, senza parlare. Io la credevo una divinità e non osavo interrogarla, poi una sera non ricomparve e la stessa notte i Thugs mi assassinavano un servo che avevo mandato sulle rive del Mangal per tendere un laccio ad una tigre.

– E tu andasti a cercarla nella pagoda?

– Sí e fu là che la vidi versare del sangue umano dinanzi alla mostruosa statua di Kalí e che la udii a singhiozzare ed imprecare contro i miserabili che l’avevano rapita e contro il destino.

– E che i Thugs ti sorpresero e che Suyodhana, il loro capo, ti cacciò un pugnale nel petto.

– Sí, Sandokan, – disse Tremal-Naik. – Se la sua mano in quel momento non avesse tremato, io non sarei piú qui a raccontart questa terribile istoria e del «cacciatore di serpenti della jungla nera» piú mai nessuno avrebbe parlato. Ne ho uccisi però prima e molti di quei miserabili e non sono caduto nelle loro mani che dopo una lotta disperata.

– Ti eri calato nella pagoda scendendo lungo una fune sostenente una lampada, è vero?

– Sí.

– Che esista ancora?

– Sirdar me l’ha confermato.

– Ebbene scenderemo anche noi con quella, – disse Sandokan. – Se Darma si mostrerà noi la rapiremo.

– Aspettiamo prima che Sirdar ci avverta.

– Hai fiducia in lui?

– Assoluta, – rispose Tremal-Naik. – Ora odia i Thugs al pari e forse piú di noi.

– Se non ci tradisce sarà un prezioso alleato. Gli ho offerto una fortuna se riesce a farci ricuperare la piccola Darma.

– Manterrà la promessa, ne sono sicuro e ci darà nelle mani anche la bajadera.

– Che Surama sia già stata condotta nei sotterranei?

– Lo suppongo.

– Salveremo anche quella. Agiamo però con prudenza onde Suyodhana non ci sfugga. A te Darma; a Yanez Surama, ed a me la pelle della Tigre dell’India, – disse Sandokan con un crudele sorriso. E l’avrò o non tornerò piú a Mompracem.

– Rima, – disse in quel momento Sirdar, avvicinandosi a loro e mostrando un’isola che si delineava dinanzi la prora della pinassa, – è la prima delle quattro isole che coprono Rajmangal verso occidente.

Rimontiamo al nord,sahib : la nostra rotta è quella.

– Evitiamo Port-Canning, – disse Tremal-Naik. – Vi può essere in quella stazione qualche spia di Suyodhana.

– Passeremo pel canale interno, – rispose Sirdar. – Nessuno ci vedrà.

– Mettiti al timone.

– Sí,sahib : guiderò la pinassa.

Il piccolo veliero pochi momenti dopo virava di bordo attorno alla punta settentrionale di Rima, imboccando un nuovo canale, anche quello assai ampio e sulle cui acque si vedeva a galleggiare un gran numero di avanzi umani che spandevano un odore cosí asfissiante da far arricciare il naso perfino a Darma ed a Punthy, che si trovavano in coperta, l’una coricata a fianco dell’altro.

Alle sei di sera anche quel canale era superato e la pinassa s’impegnava fra una serie di bassifondi e d’isolotti che dovevano formare l’estuario del Mangal.

Il cimitero galleggiante, accennato da Tremal-Naik, s’annunciava.

Centinaia e centinaia di cadaveri che dovevano provenire dal Gange, essendo il Mangal un braccio di quell’immenso fiume, galleggiavano sulle acque nerastre e untuose, montati ognuno da una e anche due coppie di marabú.

Teste, dorsi, femori e braccia si urtavano insieme, sballonzolati dalle onde prodotte dallo scafo della pinassa.

Le terre a poco a poco si restringevano. Rajmangal si univa alla jungla del continente.

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