Nelle Sunderbunds (seconda parte)

Quel colosso tutte le volte che veniva condotto al fiume a dissetarsi, aveva l’abitudine d’introdurre la proboscide nelle finestre delle case, i cui abitanti non mancavano mai a regalargli qualche dolce frutto. Il sarto invece tutte le volte che vedeva apparire quel naso colossale, si divertiva a punzecchiarlo coll’ago che aveva in mano. Per un po’ di tempo il pachiderma tollerò lo scherzo, finché un brutto giorno perdette la pazienza. Condotto al fiume assorbí piú che poté acqua e fango, poi quando passò dinanzi la casa del sarto, scaricò entro la finestra tutto quel liquido, mandando a gambe levate il disgraziato indiano e rovinandogli completamente tutte le stoffe e gli abiti che teneva sul banco.

– Che tiro birbone, – disse Yanez, che schiattava dal ridere. – Scommetterei che quel povero sarto da quel giorno non ha piú toccato gli elefanti.

-Sahib , – disse in quel momento ilcornac , rivolgendosi verso Tremal-Naik. – Vuoi accamparti qui? Avremo ombra e buona pastura per gli elefanti.

La riva opposta del canale si prestava infatti meglio dell’altra per un buon accampamento, non essendo ingombra né dikalam né di bambú spinosi, sotto i quali potevano celarsi i pericolosi serpenti che popolano in numero straordinario le jungle delle Sunderbunds.

Pareva che un incendio avesse distrutti recentemente gli uni e gli altri, essendo il suolo cosparso d’un fango grigiastro, ormai seccato dagli ardenti raggi del sole, ma aveva risparmiate le grosse piante che formavano qua e là dei folti boschetti, sotto la cui ombra gli uomini dovevano trovarsi benissimo.

– Abbiamo il fiume da una parte e la jungla dall’altra, – disse Tremal-Naik. – Il posto è buono per una fermata e per la caccia. Fermiamoci qui,cornac .

Scesero dagli elefanti portando le loro armi e si cacciarono sotto gli alberi.

Trovato il posto acconcio, fecero rizzare le tende, mentre gli elefanti si mettevano senz’altro a saccheggiare il fogliame delle piante vicine, facendo cadere al suolo, ad ogni scossa che imprimevano ai rami, una vera pioggia.

– Toh! – esclamò Yanez che nel passare sotto una di quelle piante, aveva ricevuto addosso una doccia tale da inzupparlo. – Che cos’hanno questi alberi, fra i loro rami? Dei serbatoi forse?

– Non conosci queste piante? – chiese Tremal-Naik.

– Mi pare d’averne vedute altre di simili durante il nostro viaggio; ignoro però a che cosa servono e come si chiamano.

– Sono alberi preziosissimi specialmente per le regioni che soffrono la siccità. Si chiamano nim o meglio le piante della pioggia.

Questi singolari vegetali, che sono disseminati abbastanza abbondantemente nell’India, posseggono la facoltà di assorbire l’umidità dell’atmosfera ed in modo cosí potente che ogni foglia contiene nei suoi accartocciamenti un buon bicchiere d’acqua. Prova a scuotere fortemente il tronco e vedrai che doccia ti cade addosso.

– È buona l’acqua?

– Veramente non troppo eccellente, perché le foglie che la contengono le danno un sapore nauseante, per cui a meno di avere una gran sete si stenta a mandarla giú.

Tuttavia i contadini se ne servono per innaffiare i loro campi, bastando una sola pianta per darne un paio di barili e anche di piú.

– Abbiamo anche, noi, nelle nostre isole, qualche cosa di simile, – disse Sandokan. – Le nostre piante, che non sono da fusto, si chiamanonepentes e portano foglie in forma di coppe che ne contengono piú di quelle di questi alberi; è vero Yanez?

– E quante volte l’abbiamo bevuta assieme agl’insetti che conteneva, quando gl’inglesi ci davano la caccia fra le foreste di Labuan!

Un latrato ed un ringhio lo interruppero. Punthy e Darma, che avevano attraversato il fiume subito dopo gli elefanti, si erano slanciati fra i gruppi d’alberi di comune accordo, dando segni d’una viva agitazione.

S’avanzavano, poi tornavano indietro, cacciandosi in mezzo ai cespugli di mussenda che sorgevano qua e là, poi descrivevano dei capricciosi zig-zag, come se seguissero una traccia.

– Che cos’hanno le tue bestie? – chiese Sandokan, un po’ sorpreso da quelle ricerche e dalla loro agitazione.

– Non saprei, – rispose Tremal-Naik. – Forse qualchecobra -capeloo qualche pitone è passato poco fa di qui e Punthy e Darma l’hanno fiutato.

– O qualche uomo? – chiese Yanez.

– Siamo ormai lontani dagli ultimi villaggi e nessun molango oserebbe spingersi fino qui. Hanno troppa paura delle tigri.

Bah! Lasciamoli a cercare e andiamo a cenare, poi andremo a scavarci la buca per cacciare all’agguato.

Vedo laggiú un bel boschetto di pipal, che è abbastanza lontano dall’accampamento e che congiunge la jungla spinosa col fiume. Sarà certo di là che passeranno gli animali che hanno bisogno di dissetarsi.

Mangiarono alla lesta, raccomandarono ai malesi ed aicornac di fare buona guardia, e munitisi d’una vanga ed una zappa s’avviarono verso il bosco seguiti da Darma.

Punthy era stato lasciato all’accampamento onde coi suoi latrati non spaventasse la selvaggina che Tremal-Naik si proponeva di far cacciare dalla tigre.

Già avevano perduto di vista le tende e gli elefanti, rimasti nascosti dietro le prime canne della jungla che risorgeva piú fitta che mai al di là dei terreni secchi, quando s’avvidero che la tigre dava nuovi segni d’agitazione.

S’arrestava fiutando l’aria, si batteva nervosamente i fianchi colla coda, aguzzava gli orecchi come se cercasse di raccogliere qualche lontano rumore e brontolava sommessamente.

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