CAPITOLO VENTUNESIMO
Le profezie di Nefer
L’indomani Nefer e Mirinri percorrevano le vie del quartiere degli stranieri, accompagnati dal vecchio Ounis, il quale si era procurato un tabl, ossia una specie di tamburo di terracotta in forma d’un lungo cilindro, chiuso in alto da una pelle, che percuoteva vigorosamente colla mano, onde attirare l’attenzione dei passanti. Le indovine, che erano nell’istesso tempo venditrici di ricette miracolose, erano tenute in molta stima presso gli antichi egizi, i quali credevano ciecamente alle profezie di quelle astute donne e all’efficacia delle loro polveri misteriose.
Nefer, che per volere di Her-Hor aveva esercitata quella lucrosa professione nelle borgate dell’alto Nilo in attesa di Mirinri, non si era trovata imbarazzata a riprenderla e si era senz’altro installata sulla prima piazza del quartiere, richiamando subito attorno a sé una folla di curiosi, attratti forse più di tutto dalla sua meravigliosa bellezza e dalla ricchezza dei suoi gioielli. Sedutasi su una stuoia, che Mirinri le aveva portata e accompagnata dal rullare sordo del tabl, che il vecchio Ounis suonava come se non avesse mai fatto altro in vita sua, aveva lanciato colla sua voce armoniosa, in volto agli accorsi, il suo richiamo.
«Io sono uscita dalla scuola di medicina di Heliopolis, dove i vecchi del grande Tempio mi hanno insegnato i loro rimedi.
«Io ho studiato alla scuola di Sais, dove la Grande Madre divina mi ha donate le sue ricette.
«Io posseggo gl’incantesimi composti da Osiride in persona e la mia guida è il dio Toth, inventore della parola e della scrittura.
«Gli incantesimi sono buoni pei rimedi ed i rimedi sono buoni per gl’incantesimi.»
Una vecchia egiziana si era subito avanzata e, dopo una breve esitazione, le disse:
«Dammi una ricetta per mia figlia che non può più nutrire il suo bambino ancora lattante.»
«Prendi delle testuggini del Nilo e falle friggere nell’olio e avrà latte in abbondanza,» rispose Nefer.
Un’altra donna si era fatta innanzi.
«Voglio conoscere se il figlio che mi nascerà avrà lunga vita o se morrà presto.»
«Se quando aprirà gli occhi dirà ni, egli vivrà molti anni; se dirà m bala sua vita si spegnerà presto,» rispose Nefer.
Un vecchio si era a sua volta accostato, dicendo:
«Nel mio giardino v’è un serpente che ogni sera esce dalla sua tana e mi divora i polli. Insegnami il modo che non lasci più il suo buco.»
«Metti dinanzi al suo covo un pagre (specie di pesce del Nilo) che sia ben secco ed il serpente non potrà più uscire.»
«Insegnami anche a tener lontani i sorci che divorano le mie granaglie.»
«Ungi le pareti del tuo granaio con olio di gatto e non li vedrai più comparire; oppure brucia del letame secco di gazzella, raccogli le ceneri, bagnale con acqua e copri il pavimento.»
Poi si fece innanzi una giovanetta.
«Che cosa vuoi, tu?» chiese Nefer.
«Insegnami il modo di far diventare bianchi i miei denti e di profumare la mia casa, onde rendere più lieto il mio fidanzato.»
«Prendi della polvere di carbone d’acacia ed i tuoi denti diverrano più candidi dell’avorio degli ippopotami. Se vuoi profumare le tue stanze, mescola dell’incenso, della mimosa, della resina di terebinte, scorza di cinnamono, lentischi, calamo aromatico di Siria, riduci tuttociò in polvere impalpabile e gettala su un braciere. Il tuo fidanzato non avrà da lagnarsi della squisitezza del tuo profumo.»
«E tu?» chiese poi Nefer, rivolgendosi ad un soldato che aveva una benda che gli copriva parte del viso.
«Pronuncia un incantesimo, brava fanciulla,» rispose il guerriero, «onde mi faccia guarire il mio occhio destro che una freccia siriana mi ha rovinato.»
Nefer si alzò, tese le braccia, tracciò in aria dei segni misteriosi, poi disse:
«Un rumore s’alzò verso il sud del cielo, ed appena la notte cadde, quel rumore si propagò fino al nord. L’acqua scrosciò sulla terra in grandi colonne ed i marinai della Barca Solare di Râ batterono i loro remi, per farsi bagnare anche le loro teste. Io porgo la tua testa a quella pioggia benefica, onde cada anche sul tuo occhio ferito ed invoco per guarirtelo il dio del dolore e la Morte della Morte. Applicati ora del miele sul tuo occhio e tu guarirai, perché Toth così ha insegnato.»
Un altro guerriero, molto giovane e molto macilento, aveva preso subito il posto dell’altro:
«Fanciulla,» le disse, «pronuncia anche per me un incantesimo, onde mi liberi dalla tenia che mi esaurisce.»
«Ti guarirò subito,» rispose Nefer, sempre seria. «Oh jena cattiva, oh jena femmina! Oh distruttore! Oh distruttrice! Udite le mie parole: Che cessi la marcia dolorosa del serpente entro lo stomaco di questo giovane! È un dio cattivo che ha creato quel mostro, un dio nemico: che egli cacci il male che ha fatto a quest’uomo od invocherò il bacino di fuoco onde bruci e distrugga l’uno e l’altro. Va’! Tu fra poco non soffrirai più.»
Anche il giovane guerriero se ne andò, più che convinto di dover fra poco guarire, poiché gli antichi egizi avevano più fede nelle invocazioni che nell’efficacia delle medicine.
Quella prima giornata trascorse in continue invocazioni, le une più strane delle altre ed in dispense di ricette, non meno straordinarie, accorrendo continuamente uomini e donne attorno alla bella fanciulla e non fu che ad ora molto tarda che i due Figli del Sole ed il vecchio Ounis poterono ritirarsi nella loro casetta, ben provvisti di denaro, e lieti di non aver suscitato il più lontano sospetto sul loro vero essere.
Chi d’altronde avrebbe potuto supporre che il figlio del grande Teti per sfuggire alle ricerche della polizia di Pepi si fosse adattato a diventare una specie d’istrione?
«Sei contento, mio signore?» chiese Nefer a Mirinri, che contava ridendo i denari guadagnati.
«Sei una fanciulla che vali quanto pesi,» rispose il giovane. «Se un giorno diverrò re ti farò nominare grande indovina del regno. Peccato che io non era fra il pubblico.»
«Perché?»
«Ti avrei chiesto di predirmi il mio destino.»
«Te l’ho già predetto quando scendevamo il Nilo.»
«Che io diventerò re?»
«Sì.»
«Non mi basta.»
Nefer ebbe un sussulto e corrugò lievemente la fronte, mentre un sospiro le moriva sulle labbra.»
«Ti ho compreso,» disse poi con voce lenta, lasciandosi cadere su una scranna ed appoggiando la testa sull’orlo della vicina tavola. «Io ho letto il tuo pensiero.»
«Non sei una indovina tu?»
«È vero.»
«Dunque? Fuori la tua profezia.»
«La vedrai.»
«In Menfi?»
«Qui, in questa città.»
Questa volta fu il giovane che ebbe un forte sussulto, mentre il suo viso s’imporporava, come quello d’una fanciulla quando si reca al suo primo appuntamento d’amore.
Nefer si coprì gli occhi con ambe le mani, comprimendoseli fortemente.
«La vedo,» riprese dopo alcuni istanti di silenzio, come parlando fra sé. «È coricata su una portantina sfolgorante d’oro che otto schiavi nubiani sorreggono e dinanzi a lei s’avanza maestoso un toro tutto nero che ha le corna dorate. Tintinnano i sistri sacri, salgono al cielo le note deliziose delle arpe e delle chitarre e rimbombano i tamburi… le danzatrici intrecciano danze intorno alla portantina regale e fissano l’ ureoche scintilla fra le trecce nere della bella Faraona. Vedo carri guerreschi montati da soldati… vedo arcieri e guardie… odo il rombo degli applausi che la folla tributa alla figlia del più possente re dell’Africa. Ah! Quel grido! Quel grido!»
Nefer aveva abbassate le mani ed era balzate in piedi, guardando con terrore Mirinri che le stava diritto dinanzi, ascoltandola attentamente.
«Cos’hai, Nefer?» chiese il giovane, turbato da quell’improvviso scatto.
«Ho udito un grido.»
«E così?»
«E quel grido era tuo, mio signore. Sì, io l’ho udito distintamente.»
«E poi? Continua.»
«Non vedo più nulla dinanzi ai miei occhi. Tutta la visione è scomparsa in mezzo ad una fitta nebbia.»
«E quel grido ti ha spaventata?»
«Sì.»
«Ma perché?»
«Non lo so… eppure nell’udirlo, il mio cuore si è ristretto come se una mano di ferro l’avesse preso e compresso.»
Ounis, che fino allora era rimasto nella stanza attigua, occupato a preparare un certo pasticcio a base di datteri secchi e di semi di pianta del loto, si era affacciato alla porta, guardando Nefer con una specie di terrore. Doveva aver udite le sue parole, poiché il suo viso, ordinariamente calmo, appariva in quel momento estremamente alterato.
«Nefer,» disse, con voce rotta, «sei tu veramente una indovina? Credi di poter leggere nel futuro? Dimmelo, fanciulla mia.»
«Lo spero,» rispose Nefer, che era tornata a sedersi, appoggiando nuovamente il capo sull’orlo del tavolo.
«Di chi era quel grido?»
«Di Mirinri.»
«Non ti saresti ingannata?»
«No.»
«Ne sei ben certa?»
«Conosco troppo bene la voce del mio signore.»
«Io ho udito quanto tu hai narrato a Mirinri,» riprese Ounis, con una certa ansietà che non isfuggì al giovane Figlio del Sole. «Copriti gli occhi e tenta di vedere che cosa è successo dopo.»
Nefer obbedì e stette parecchi minuti silenziosa. Ounis la osservava attentamente, con angoscia, cercando di sorprendere sul suo viso un moto, un sussulto qualsiasi, invece i lineamenti della fanciulla rimanevano impassibili.
«Dunque?» chiese il vecchio.
«Nebbia… sempre nebbia.»
«Non riesci a scorgere nulla attraverso quel denso velo?»
«Sì, aspetta… delle colonne dorate… un trono sfolgorante di luce… poi un uomo… ha il simbolo del diritto di vita e di morte sulla parrucca…»
«Com’è? Giovane o vecchio?»
«Aspetta…»
«Guardalo attentamente.»
«È lui.»
«Chi lui?»
«Il Faraone che abbiamo veduto sulla barca dorata… l’uomo contro cui Mirinri aveva teso l’arco.»
«Pepi!» gridò Ounis.
«Sì… è lui… lo vedo ora distintamente.»
«Che cosa fa?…»
«Non aver fretta… vedo la nebbia turbinare attorno a lui… ora mi appare col viso sconvolto da una collera tremenda… ora tremante e pallido… ora scompare… Ah! Vi sono delle persone attorno a lui… un altro vecchio… ha nelle mani un ferro ricurvo… uno di quei ferri che adoperano i preparatori di mummie per estrarre dalle nari il cervello dei morti… poi vedo pendergli dalla cintura una di quelle pietre taglienti dell’Etiopia di cui si servono per aprire il fianco ed estrarne gl’intestini…»
«Chi vuole imbalsamare?» gridò Ounis, con terrore.»
«Non lo so.»
«Guarda, guarda: fora la nebbia coi tuoi sguardi penetranti. Te ne prego, Nefer.»
«Non vedo più nulla… ah! Sì, ecco un’altra sala più meravigliosa dell’altra… popolo, soldati, sacerdoti… il Faraone… che apre il naos, il reliquario del dio… ah! Lui!»
«Chi?»
«Her-Hor?»
«Il sacerdote che hai ucciso?»
«Sì.»
«Vivo?»
«Vivo,» rispose Nefer, mentre un tremito scuoteva il suo corpo. «Ecco l’uomo fatale… giungerà all’ultima ora… e sarà fatale a me… a me… a me…»
«Che cosa dici, Nefer?» chiesero ad una voce Ounis e Mirinri.
La fanciulla non rispose. Si era abbandonata addosso alla tavola, come se un profondo sonno l’avesse improvvisamente sorpresa.
«Dorme,» disse Mirinri.
«Taci,» rispose Ounis. «Agita le labbra: parlerà forse ancora pur dormendo.»
La fanciulla, che si era assopita, pareva che facesse degli sforzi supremi per muovere la lingua e le labbra.
«Râ segna il giorno,» disse ad un tratto con voce fievole «Osiride la notte. L’alba è la nascita, il crepuscolo della sera la morte, ma ogni giorno che spunta il viaggiatore rinasce a vita novella dal seno di Nout e sale gloriosamente in cielo, ove naviga sulla barca leggera, combattendo vittoriosamente il male e le tenebre che fuggono dinanzi a lui. Alla sera la notte trionfa. Il sole non è più Râ il potente, lo sfavillante, esso diventa Osiride, il dio che veglia fra le tenebre e la morte. La sua barca celeste percorre i tetri canali della notte, dove i demoni cercano assalirla e dopo mezzanotte essa risale dal baratro tenebroso e la sua corsa diventa più rapida e più aerea ed al mattino ritorna sfolgorante di luce e vittorioso. Tale è la vita e tale è la morte. Perché Nefer avrà paura?»
«Sogna!» esclamò Mirinri: «che strana fanciulla!»
Ounis che stava curvo verso la giovane per non perdere una sola parola, si era alzato e, posando le sue mani sul giovane Faraone, gli disse:
«Guàrdati, Mirinri. Questa fanciulla ha veduto un pericolo. Sta in guardia!»
«Credi tu alle visioni di Nefer?»
«Sì,» rispose Ounis.
«Credi dunque al destino?»
«Sì,» ripetè Ounis.
«Ed io non credo che alla mia stella, che sale sfolgorante in cielo; al suono che diede all’alba la statua di Memnone e al fiore della risurrezione che schiuse le sue corolle fra le mie mani,» rispose Mirinri. «Profetizzavano che io un giorno sarei diventato re; e re diventerò, Ounis, perché nessuno spezzerà il mio destino.»
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