CAPITOLO VENTICINQUESIMO
Nei sotterranei del palazzo reale
Quando Mirinri potè riaprire gli occhi, invece del superbo palazzo dei Faraoni egiziani, si vide dinanzi solamente delle tenebre fittissime.
La splendida visione era scomparsa assieme alla lettiga dorata della fanciulla che aveva salvato, al sole risplendente sull’immenso viale e alla luce che lo aveva abbagliato.
Per un momento si credette cieco. Perché i suoi nemici non potevano aver approfittato del suo improvviso svenimento per fargli scoppiare, con un bacino infuocato, gli occhi? Ounis gli aveva narrato e, non una sola volta, d’altre punizioni simili. Non sarebbe stato quindi nulla di straordinario. A quel terribile pensiero ebbe un sussulto, che cessò però subito, poiché non provava alcun dolore e sentiva le palpebre alzarsi ed abbassarsi senza alcuna difficoltà.
«Che la notte sia calata?» si chiese finalmente. «E dove sono io? In un sepolcreto od in un sotterraneo del palazzo reale? E Nefer? E Ounis? Che cosa sarà accaduto di loro? Ah! La sinistra profezia della fanciulla si è avverata! Me l’aveva predetto!»
Si rizzò sulle ginocchia, girando intorno le mani. Non toccò nulla, tenebre sole e tenebre densissime lo avvolgevano.
«Dove sono io?» si chiese per la seconda volta. «Che mi abbiano sepolto vivo in qualche mastaba o nella piramide di Rodope? Che la mia giovinezza, che i miei sogni di gloria e di potere debbano finire così miseramente? Ah no! È impossibile! Io non voglio morire, io che sono il figlio del grande Teti!»
La sua voce, squillante come una tromba di guerra, echeggiò poderosa fra l’oscurità. «A me! A me! Salvate il figlio di Teti! Liberatemi, miserabili! Io sono il re dell’Egitto!»
Un sordo gemito rispose a quell’invocazione disperata:
«Mio signore!…»
Mirinri stette un momento silenzioso, credendo di essersi ingannato, poi proruppe in un grido acutissimo:
«Nefer!»
«Sì, mio signore!»
«Ove sei tu, povera fanciulla?»
«Vago fra le tenebre, cercandoti.»
«Lascia che le mie mani tocchino il tuo corpo!»
«Sì, mio signore… non ti vedo, ma ti sento e ti odo… eccomi… sono presso di te.»
Mirinri aveva allungate le braccia stringendo la fanciulla.
«Presso di te,» le disse con voce alterata, «la morte mi pare più dolce… ed io ti ho tratto alla rovina, io che ho troppo abusato di te, buona e dolce Nefer.»
«Bastano queste parole, che mai ho udito uscire dalle tue labbra divine, per compensarmi,» disse la fanciulla, posando le sue mani sul viso di Mirinri. «Che importa a me di morire? Noi siamo abituati fino dall’infanzia all’ultimo passo della vita e guardiamo, senza tremare, la raggiante barca di Râ.»
«Morire!» gridò Mirinri, che era stato preso da un terribile accesso di furore. «Noi, così giovani, dare un addio al Nilo e alla terra che esso bagna; alla luce ed al mondo; seppellire qui, entro queste tenebre la vendetta e perdere il regno che per diritto di nascita mi spetta! No, non voglio morire, prima d’essermi assiso, almeno per un momento solo, sul trono dei possenti Faraoni.»
«E veder ancora colei che ti ha perduto, è vero, signore?»
«Taci, Nefer! Sai tu dove siamo?»
«Nei sotterranei del palazzo reale, suppongo.»
«È giorno od è notte? Io non vedo alcun barlume di luce in nessun luogo.»
«Il sole è scomparso da più ore,» rispose Nefer. «Quando io ho ripresi i sensi vi era ancora un po’ di luce qui dentro, ma che non durò tanto da permettermi di scoprirti.»
«Eri svenuta o t’avevano dato da bere qualche filtro misterioso?»
«Nessuno mi diede nulla.»
«E come è che io, appena mi hanno messo quel bavaglio, non ho più veduto, né udito nulla?»
«Certo quel bavaglio doveva essere stato prima impregnato di qualche essenza narcotica.»
«Nefer,» riprese Mirinri, dopo essere rimasto alcuni istanti silenzioso. «È vasto questo sotterraneo?»
«Mi parve immenso.»
«Hai veduto nessuno discendere dopo che ci hanno portato qui?»
«Mi sono trovata sola quando riaprii gli occhi.»
«Che ci abbiano condannati a morire qui dentro di fame e di sete?»
Nefer rimase muta raggomitolandosi su se stessa. Dalla vibrazione dei suoi braccialetti, il giovane Faraone capì che tremava fortemente.
«Rispondimi, Nefer,» disse Mirinri, con angoscia.
«Non te lo posso dire, mio signore. Io però ho paura di quell’uomo che è potente quasi come il re.»
«Di quale?»
«Non è morto: quel vecchio sinistro deve avere l’anima ben fissata entro il suo corpo ischeletrito, eppure il colpo di daga io l’ho vibrato con mano sicura.»
«Il sacerdote del tempio delle ombre, quello che mi avevi detto d’avere ucciso?»
«Sì, è vivo. Nel momento in cui ti arrestavano, ho udito la sua voce.»
«Ti sarai ingannata: quando si è vecchi non si guarisce da un colpo di daga. Nella confusione avrai scambiato quella voce con un’altra.»
«Vorrei che così fosse, mio signore. Anche a me pare impossibile che egli sia ancora vivo.»
«È di Pepi che io ho paura,» disse il giovane Faraone. «Fra la perdita del trono e la soppressione mia, non esiterà.»
«E Ounis? E Ata? Li hai tu dimenticati? La voce del tuo arresto si sarà sparsa per la città ed a quest’ora sarà giunta ai loro orecchi.»
«Le angoscie, che mi tormentano in questo triste momento, m’avevano fatto scordare di quegli amici affezionati e devoti fino alla morte. Che cosa faranno essi ora che hanno radunato i vecchi partigiani di mio padre? Tenteranno un colpo disperato contro la reggia o solleveranno il popolo in mio nome? Ah! Quante ansie provo in quest’ora! Cadere, quando ormai non mi era necessario che d’allungare una mano per strappare a quel miserabile il simbolo del potere supremo! I pronostici hanno mentito dunque?»
«Non disperare, mio signore, e aspettiamo che sorga l’alba. Tu non sai ancora quello che deciderà Pepi. Presso di lui hai forse una valida protettrice.»
Mirinri non rispose e si coricò su una grossa stuoia, che aveva trovato accanto a sé. Nefer lo aveva imitato, raggomitolandosi quasi su se stessa.
Le ore passavano lente, angosciose, pei due disgraziati giovani. Nessun rumore giungeva fino a loro, fuorché il monotono stillare d’alcune gocce d’acqua che battevano sul marmoreo pavimento dell’immenso sotterraneo. Pareva che tutte le centinaia e centinaia di persone che abitavano il meraviglioso palazzo si fossero allontanate, poiché non si udivano nemmeno le grida delle guardie che si cambiavano e delle scolte notturne, che Nefer aveva altre volte intese.
La notte finalmente passò ed un barlume di luce pallida, annunciante l’imminente apparire dell’astro diurno, si diffuse a poco a poco nel sotterraneo.
Mirinri si alzò di scatto, guardandosi intorno con ansietà estrema. Si trovava in un sotterraneo vastissimo, colle pareti, le vôlte ed il pavimento di marmo bianco e lucido. Da due piccole finestre, difese da enormi sbarre di bronzo, aperte presso le vôlte, entrava una scarsa luce, così debole da non riuscire ad illuminare tutti gli angoli della immensa prigione.
«Che questo sia proprio un sotterraneo del palazzo reale?» chiese Mirinri a Nefer che si era pure alzata.
«Non ne ho alcun dubbio,» rispose la giovane. «Mi rammento di aver visitato da fanciulla varie sale sotterranee della reggia e d’avervi anche giuocato coi figli di molti principi: e rassomigliavano a questa.»
«Temevo che ci avessero sepolti in qualche mastaba della necropoli o nel centro di qualche piramide.»
«Taci!»
«Che cos’hai udito?»
«Il grido delle guardie che si cambiano.»
«Nefer, cerchiamo un’uscita,» disse improvvisamente Mirinri. «Ecco là una porta di bronzo.»
«Che resisterà ai tuoi sforzi.»
«Chissà che dietro di essa non vi siano delle guardie e che rispondano alle mie chiamate. Proviamo!»
S’avvicinò alla porta, che pareva d’uno spessore straordinario e la percosse col pugno più volte.
Alla quinta battuta udì un fragore di ferraglie come se delle catene e dei catenacci venissero levati ed un vecchio soldato, che era privo della mano sinistra e che in quella destra impugnava una specie di falcetto colla lama larghissima, una di quelle terribili armi che con un solo colpo spiccavano una testa dal busto, comparve, dicendo:
«Che cosa vuoi, giovane?»
«Sapere innanzi a tutto dove mi trovo.»
«Nei sotterranei della reggia,» rispose il vecchio soldato, con una certa deferenza che non isfuggì a Mirinri.
«Che cosa si vuol fare di me e di questa giovane Faraona?»
Il soldato ebbe un moto di stupore e fissò a lungo Nefer, che si era accostata silenziosamente a Mirinri.
«Costei, una Faraona, hai detto?
«Ne dubiteresti? Guarda allora.
Levò il collare variopinto che la giovane portava sopra la camicia leggerissima aperta sul dinanzi e le mise a nudo la spalla.
«L’ ureo!» esclamò il soldato, scorgendo il tatuaggio.
«Sei convinto ora che sia una Faraona?»
«Sì, perché nessuno oserebbe portarlo,» rispose il soldato.»
«Tu sei vecchio,» riprese poi Mirinri, «sicché avrai preso parte a molte battaglie, fors’anche a quella terribile che ruppe e vinse per sempre le orde dei Caldei.»
«Ho perduta la mia mano sinistra in quella battaglia, troncatami da un colpo d’azza,» rispose il soldato. «Era Teti il grande che ci guidava alla vittoria.»
«Tu dunque l’hai conosciuto?»
«Sì.»
«Guardami in viso: io sono il figlio di Teti!»
Il vecchio guerriero aveva frenato a stento un grido.
«Tu! Il figlio del grande re! Ma sì, gli assomigli in tutto! I suoi stessi occhi pieni di fuoco, i medesimi lineamenti, gli stessi capelli… la fossetta al mento…»
«Egli aveva lasciato un bambino che poi scomparve,» disse Mirinri.
«Lo so e si diceva che fosse morto.»
«Hanno mentito: amici devoti di mio padre m’avevano rapito, per timore che Pepi mi facesse avvelenare.»
«Io ho udito questa storia, signore, sussurrata non solo fra il popolo, bensì anche fra l’armata.»
Poi, cadendo in ginocchio dinanzi al giovane, gli disse con voce profondamente commossa:
«Signore, che cosa posso fare pel figlio del grande re ed a cui tutto l’Egitto deve la sua salvezza e la sua prosperità? Io non sono che un povero soldato e per di più vecchio, tuttavia se la mia vita può giovarti, prendila.»
«Tu puoi essermi più utile vivo, che morto,» rispose Mirinri.
«Che cosa devo fare?»
«Sai dirmi innanzi a tutto a quale scopo Pepi ci ha fatti rinchiudere qui dentro?»
«Lo ignoro, mio signore. Vi hanno portati qui ieri sera, qualche ora prima del tramonto, incaricandomi di vegliare attentamente su di voi e di uccidervi nel caso aveste tentata la fuga.»
«Sei solo qui?»
«Vi è un drappello di guardie all’estremità della scala, dietro la seconda porta di bronzo.»
«Incorruttibili?»
«Sono soldati giovani, signore, che non hanno mai conosciuto il grande vincitore dei Caldei.»
«Tu, signore, hai dimenticato che nella reggia hai forse una protettrice,» disse Nefer, rivolgendosi a Mirinri. «Se questo soldato potesse segretamente avvertirla?»
«Chi è?» chiese il vecchio.
«La figlia di Pepi Mirinri,» rispose Nefer. «Ella probabilmente ignora dove ci hanno portati le guardie che ci arrestarono.»
«Io posso farle parlare, avendo una mia nipote nella reggia,» disse il guerriero.
«Puoi uscire dal sotterraneo?» chiese Mirinri.
«Comando io il drappello delle guardie che sorvegliano dietro alla seconda porta di bronzo. Posso quindi entrare nel palazzo reale. Lasciatevi rinchiudere, non bussate, rimanete tranquilli e giuro su Râ di far giungere vostre notizie alla figlia di Pepi.»
«Possiamo fidarci di te?» chiese il giovane Figlio del Sole.
Il vecchio gli porse l’arma che teneva sempre in pugno, dicendogli:
«Vuoi uccidermi e tentare la fuga? Eccomi ai tuoi piedi, figlio del vincitore dei Caldei.»
«Ti credo: la prova che mi hai dato mi basta.»
«Ritiratevi allora, lasciate che chiuda la porta e aspettate mie notizie.»
Mirinri e Nefer si ritrassero ed il vecchio veterano di Teti rimise a posto le catene ed i catenacci.
I due giovani erano rimasti l’uno di fronte all’altro, guardandosi con angoscia.
«Nefer,» disse Mirinri, «tu che tutto indovini, che cosa predici al figlio di Teti?»
La giovane Faraona si coperse gli occhi colle mani, rimanendo raccolta per parecchi minuti.
«Sempre la stessa visione,» rispose poi.
«Quale?»
«Un uomo giovane che atterra un re possente, che gli strappa dalle mani il simbolo del potere supremo, un grido immenso che lo saluta re… e poi…»
«Continua.»
«Una fanciulla che cade, in mezzo ad una sala immensa, di fronte al trono dei Faraoni, morente.»
«Chi è quella fanciulla?»
«Non la posso vedere in viso. Vi è come una nebbia dinanzi a lei, che mai sono riuscita a dileguare.»
«La figlia di Pepi?» chiese Mirinri con angoscia.
«Non lo so.»
«Guarda bene!»
«È impossibile! Non posso vederla.»
«Sempre la stessa risposta!» gridò Mirinri, con rabbia. «Non puoi conoscerla?»
«No, la nebbia si frappone ostinatamente fra me e quella fanciulla.»
«È giovane?»
«Mi sembra.»
«Bruna?»
«Mi pare.»
«Di stirpe divina?»
«Sì, perché su una sua spalla vedo tatuato l’ ureo.»
«La figlia di Pepi forse?»
Nefer, invece di rispondere, si scoprì gli occhi e Mirinri vide che due grosse lagrime scendevano lungo le bellissime gote della fanciulla.
«Piangi!» esclamò. «Perché?»
«Non preoccuparti, signore,» rispose Nefer. «Quando cerco di studiare intensamente il futuro, mi succede sovente di risvegliarmi cogli occhi bagnati di lagrime.»
«Debbo crederti?» chiese Mirinri, impressionato dalla tristezza profonda che traspariva sul viso della fanciulla.
«E perché no? Tu sai che io sono una indovina e ti ho dato tante prove finora.»
«È vero, Nefer,» rispose laconicamente Mirinri.
Tornarono lentamente verso la stuoia e si coricarono l’uno presso l’altro. Mirinri appariva vivamente preoccupato e Nefer pensierosa.
Nella immensa sala la luce continuava a diffondersi, alzandosi sempre più il sole, ma era sempre una luce scialba, quasi cadaverica, che si rifletteva tristamente sulle lastre di pietra che coprivano il pavimento, la vôlta e le pareti.
Il ben noto fragore di ferraglie e di catene li scosse entrambi. Era il vecchio guerriero di Teti il grande, che tornava o qualche altro?
«Avessi almeno un’arma,» mormorò Mirinri.
La porta di bronzo si aprì ed il veterano di Teti comparve, accompagnato da quattro guardie che portavano dei canestri di foglie di palma contenenti probabilmente dei viveri.
«Mangiate,» disse il vecchio, scambiando con Mirinri uno sguardo molto significante e additando l’ultima cesta di destra. Poi, senza aggiungere altro, uscì accompagnato dai suoi uomini, rinchiudendo la pesante porta di bronzo.
«Hai veduto, Nefer, quel gesto?» le chiese Mirinri, quando furono soli.
«Sì, mio signore.»
«Oltre delle provviste, vi deve essere qualche cosa di più importante là dentro,» disse il giovane.
Levò il pezzo di lino che copriva la cesta segnalata dal veterano di Teti ed estrasse delle gallette di granoturco, dei pesci arrostiti, della frutta e dei pasticcini, senza nulla trovare di ciò che s’aspettava.
«Niente,» disse, guardando Nefer. «Che quel vecchio ci abbia burlati?»
«Leva il pezzo di lino che copre il fondo del paniere,» disse la giovane.
Mirinri obbedì e raccolse rapidamente un pezzetto di papiro, su cui un minutissimo pennello aveva tracciato dei caratteri con inchiostro azzurro.
«Si trova in fondo a questo canestro per caso o l’hanno messo appositamente per noi?»
S’accostò ad una delle due finestre, essendo la luce sempre scarsa, specialmente nel centro dell’immensa sala e riuscì, non senza fatica però, in causa dell’estrema piccolezza dei segni, a decifrare quanto vi era scritto:
« Nitokri veglia su di voi. Non temete nulla».
Mirinri aveva mandato un urlo di gioia.
«Non mi abbandona!»
Nefer aveva chinato il capo sul petto, senza pronunciare parola alcuna. Anzi il suo viso, invece di manifestare un qualche moto di contentezza, era diventato più triste del solito.
Forse sarebbe stata più lieta di morire insieme al giovane Figlio del Sole, piuttosto che dovere la vita e la libertà alla possente rivale.
«Nefer,» disse Mirinri, sorpreso di non vederla felice. «Hai capito che cosa ci hanno scritto?»
«Sì, mio signore.»
«Se Nitokri ci protegge, riuscirà certo a strapparci dalle mani di suo padre.»
«Lo credo anch’io.»
«Mangiamo, Nefer. Ora che le nostre angoscie sono finite, possiamo pensare ai nostri corpi.»
Il giovane Figlio del Sole che pareva non si fosse nemmeno accorto della profonda tristezza della povera Nefer, rovesciò i panieri che erano tutti ben forniti di vivande squisite e si mise a lavorare di denti coll’appetito dei suoi diciott’anni.
Ad un tratto s’interruppe.
Al di fuori erano improvvisamente scoppiate delle grida, che diventavano di momento in momento più acute, accompagnate da un rotolar fragoroso, come se dei carri di battaglia uscissero a gran corsa dal palazzo reale.
«Che i congiurati assalgano la reggia?» si chiese Mirinri.
«Qualche cosa di straordinario succede di certo,» disse Nefer, che ascoltava attentamente.
«Che sia Ounis che giunge con Ata? Ah! Se fosse vero!»
«Taci, mio signore.»
Le grida si allontavano, diventando rapidamente fioche, mentre il rotolar dei carri aumentava. Pareva che uscissero a centinaia e centinaia dalle ampie sale pianterrene dell’immensa reggia.
Mirinri, in preda ad una crescente ansietà, ascoltava sempre. Quelle grida che si allontanavano non gli parevano di buon augurio. I congiurati, se erano veramente tali, dovevano essere fuggiti dinanzi alla carica dei carri di battaglia.
Guardò Nefer, pallido, agitato.
«Che cosa ne dici tu, fanciulla?» le chiese con ansietà.
«Non so che cosa dirti.»
«Che abbia avuto luogo un combattimento?»
«Può darsi… qualcuno viene. Il fragore delle catene e dei catenacci era tornato a farsi udire, poi la porta si era violentemente aperta ed il veterano di Teti era tornato a mostrarsi, solo e senz’armi. Mirinri gli si era slanciato contro.»
«È vero che Nitokri ci protegge?» gridò.
«Sì, mio signore, anzi fra poco ella sarà qui.»
«Per salvarci?»
«Lo spero.»
«E suo padre?»
«Qualche burrasca deve essere avvenuta fra il grande Faraone e la figlia, almeno così mi dissero.»
«E quel fragore di carri di battaglia e quelle grida? Che cosa significavano?»
«Un capriccio del re. Egli ha fatto impegnare una vera battaglia fra le guardie per divertirsi, e provare la buona qualità dei suoi cavalli. Basta, mio signore: ho un ordine da eseguire.»
«Quale?»
«Di far uscire questa fanciulla e di condurla in una casa appartenente al re dove troverà servi e schiave.»
«Perché? » chiese Nefer che aveva gli occhi lagrimosi.
«Io non lo so, mia signora,» rispose il veterano. «Mi fu comunicato questo ordine da un ufficiale del palazzo ed io debbo obbedire, pena la morte.»
Mirinri era diventato pensieroso, e guardava Nefer con un senso di profonda pietà. Aveva ben compreso quanto dolesse alla povera fanciulla lasciarlo nelle mani di Nitokri.
«Nefer,» disse ad un tratto, con voce dolce. «Tu, libera, mi puoi essere di maggior utilità che rimanendo qui.»
«In quale modo, mio signore?» disse la giovane singhiozzando.
«Recandoti ad avvertire Ounis.»
«Dove lo troverò io?»
«Alla piramide della bella Rodope.»
«L’appuntamento era per ieri sera.»
«Può darsi che si trovi ancora colà con Ata. Quest’uomo ti scorterà.»
«Sì, mio signore,» rispose il veterano. «La prendo sotto la mia protezione.»
«Va’, Nefer,» disse Mirinri. «Io spero che noi ci rivedremo ben presto.»
«Addio, e non scordarti troppo presto di me.»
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