Il battello-tramvai

Alle cinque del mattino i tre amici, che dopo aver indossati i pesanti vestiti dei viaggiatori polari, si erano addormentati, venivano svegliati dalle grida degli impiegati ferroviari della stazione di Wolstenholme.
Holker per il primo aveva aperto gli occhi, dicendo ai suoi amici:
«Siamo sulle rive dell’Oceano Artico ed il battello-tramvai ci aspetta per attraversare lo Stretto d’Hudson. Non abbiamo tempo da perdere».
Presero i loro bagagli, lasciarono il caldo scompartimento e uscirono dalla galleria d’acciaio per entrare nella stazione.
«Una buona tazza di tè con un bicchierino di whisky prima di tutto» disse Holker, entrando in una sala che serviva da ristorante e che era splendidamente illuminata da una grossa lampada a radium. «Deve fare molto freddo, fuori.»
Riscaldatisi lo stomaco, lasciarono la stazione, seguiti da altri otto o dieci viaggiatori, per la maggior parte inglesi e tedeschi che si recavano al polo.
Era ancora notte, però numerose lampade a radium illuminavano le vie del piccolo villaggio costruito sulle rive dell’Oceano Polare, ed il freddo era intensissimo.
La neve copriva ogni cosa e doveva avere uno spessore considerevole.
«Chi abita questo paese da lupi?» chiese Brandok, mentre si infagottava in un ampio mantello di pelle d’orso nero.
«Vi sono qui tre o quattro dozzine di pescatori canadesi» rispose Holker. «Tutti i tentativi fatti per colonizzare queste vaste terre sono riusciti vani. È un vero peccato, perché qui lo spazio non mancherebbe per far sorgere delle città gigantesche.»
«E piantare cavoli e seminar grano» disse Brandok, ridendo.
«Eppure qualche cosa nasce e matura qui, nonostante il freddo.»
«Ed in qual modo avete potuto ottenere questi miracoli?»
«Proiettando sulle piante e sul terreno un continuo getto di luce a radium,» rispose Holker. «Le patate vi crescono assai bene, e anche i funghi, nelle cantine delle case.»
«Raccogliere dei funghi presso il circolo polare artico! Questa è grossa! Che cosa direbbero Franklin e Ross, se tornassero in vita?»
In quel momento un fischio acuto risuonò a breve distanza ed un potente fascio di luce fu proiettato sulla piccola schiera che era guidata da un impiegato ferroviario.
«Che cosa c’è?» chiese Toby.
«È il battello-tramvai che ci chiama» rispose Holker.
«È un piroscafo od un carrozzone che viaggia sulla terra?»
«L’uno e l’altro, zio» disse Holker.
«Un’altra invenzione diabolica?»
«Ma praticissima.»
Affrettarono il passo e, dopo qualche minuto, si trovarono sulla spiaggia dell’Oceano Artico. All’estremità di un ponte di legno, illuminato da parecchie
lampade, vi era un grosso battello sormontato da un solo albero, sulla cui cima brillava una grossa palla di radium che lanciava in tutte le direzioni dei fasci di luce brillantissima, leggermente azzurrina.
Parecchi uomini, coperti da vestiti villosi che li facevano rassomigliare ad orsi polari, stavano allineati lungo le murate, tenendo in mano delle lunghe aste colla punta d’acciaio.
«Dei soldati polari?» chiese Brandok.
«Dei marinai» rispose Holker.
«Perché hanno quelle lance?»
«Per allontanare i ghiacci che s’accostano al battello. Ve ne saranno molti al largo.»
«E dove ci porterà questo battello?»
«Fin sulla Terra di Baffin, oltre il lago di Nettelling.»
«Mio caro nipote,» disse Toby «ai nostri tempi quel lago si trovava nel cuore dell’isola.»
«È così, zio.»
«Questo battello non potrà quindi spingersi fin là, a meno che non abbia delle ruote che lo conducano.»
«E se così fosse? Se questo meraviglioso battello potesse ad un tempo navigare e correre anche sulla terra, come una semplice automobile?»
«Amico James, che cosa dici di questa nuova invenzione?» chiese Toby.
«Che finirò per non stupirmi più di nulla, anche se dovessi trovare dei mari tramutati in campi fertili» rispose Brandok.
Giunti all’estremità del ponte, salirono sul piroscafo, cortesemente salutati dal capitano e dai suoi due ufficiali.
Era una bella nave, dai fianchi piuttosto rotondi per meglio sfuggire alle strette dei ghiacci, lunga una trentina di metri, con in mezzo una galleria formata da vetri di grande spessore, per difendere i viaggiatori dai morsi del vento polare, senza impedire loro di vedere ciò che succedeva all’esterno, e bene illuminata.
Brandok, Holker e Toby presero posto a prora, sotto la galleria, seguiti subito dagli altri passeggeri.
La porta fu chiusa, la macchina lanciò un fischio acuto ed il battello si mise in moto a velocità moderata, mentre i suoi uomini, che si trovavano fuori della galleria, salivano sulle murate immergendo nell’acqua le loro aste dalla punta ferrata.
Lo Stretto di Hudson, che separa il territorio del Labrador dalla grande isola di Baffin, era tutto ingombro di ghiacci.
Si vedevano delle montagne galleggianti andare alla deriva, spinte dal vento polare e anche molti banchi popolati da una grande quantità di uccelli marini.
Sotto i fasci di luce della potente lampada a radium che brillava sulla cima dell’albero, quei ghiacci scintillavano come enormi diamanti e producevano un effetto sorprendente e meraviglioso.
Il battello, abilmente guidato, si teneva a distanza da quei pericolosi ostacoli.
Ora rallentava, poi, quando trovava uno spazio libero o un canale, aumentava considerevolmente la velocità. Talora investiva poderosamente i banchi di ghiaccio col suo tagliamare e li stritolava adoperando certi bracci d’acciaio forniti di denti come quelli delle seghe, che agivano ai due lati della prora, e che in pochi istanti sgretolavano i massi.
«Una vera nave da ghiaccio» disse Brandok, che guardava con viva
curiosità. «Quante belle invenzioni!»
«E quando la vedrete salire sulla riva e correre sui campi di ghiaccio della Terra di Baffin come una immensa vettura?» disse Holker.
«È incredibile e nessuno ai nostri tempi avrebbe mai osato sperare di trasformare una nave in un tramvai» disse Toby.
«E che esce dall’acqua e che prosegue la sua corsa, senza cambiare apparentemente nulla, senza interrompersi nemmeno un istante; che diventa vettura dopo essere stata battello e che torna di nuovo battello dopo essere vettura con un’agilità e rapidità unica» aggiunse Holker. «Sì, è una vera nave meravigliosa.»
«Io vorrei sapere come avviene questa trasformazione» disse Toby.
«In una maniera semplicissima» rispose Holker. «Il battello non ha che una sola macchina messa in moto dall’elettricità, capace però di servire a diversi fini e producente una forza applicabile in parecchi modi, per un’azione sempre diversa. Avviene così che la nave, avvicinandosi alla riva, riceve dalla motrice tutta la forza che s’accumula su due ruote collocate a prora e nascoste entro due nicchie aperte nella carena. Appena l’acqua comincia a mancare, quelle ruote, mediante un meccanismo speciale, si abbassano e si mettono in funzione, mentre le eliche vengono fermate. A poppa vi sono pure altre due ruote le quali agiscono perché trascinate dall’impulso di quelle anteriori. Ecco la nave trasformata, senza bisogno di manovre faticose, in un enorme tramvai. Sale la riva e si mette in marcia per terra e prosegue fino a che trova o qualche canale o qualche lago o qualche braccio di mare. Allora le ruote entrano nelle loro nicchie, le eliche si rimettono in funzione ed ecco il tramvai tornato battello. Non è ingegnoso tutto ciò?»
«Ve ne sono molte di queste navi?»
«Sì, specialmente in Europa dove esistono spiagge basse, come in Germania, in Danimarca, in Irlanda, in Italia e così via.»
«E questi battelli conservano la loro velocità anche in terra?» chiese Brandok.
«La medesima,» rispose Holker «e la loro forza locomotrice è di centosessanta metri al minuto.»
«E sempre nuove invenzioni le une più meravigliose e più sorprendenti delle altre. Ah! Toby!»
«Cos’hai, James?»
«Sai che fra questi ghiacci non provo più quella strana agitazione che mi faceva sussultare i muscoli?»
«Nemmeno io» rispose il dottore. «E ciò dipende dall’essere lontani dalle grandi città. Qui l’elettricità non può farsi sentire come laggiù o come sopra le cascate del Niagara.»
«Se noi non potremo resistere alle tensioni elettriche che si faranno sentire fortemente anche nelle grandi città europee, ci rifugeremo al polo.»
«E diventeremo anche noi anarchici» disse il dottore, ridendo.
Il battello-tramvai continuava intanto a lottare vigorosamente contro i ghiacci per raggiungere le sponde meridionali della Terra di Baffin, che si discernevano già vagamente fra le brume dell’orizzonte.
Delle montagne enormi, dei così detti ice-bergs, apparivano di quando in quando, cappeggiando pericolosamente e dondolandosi fra le onde, e minacciando di rovesciarsi addosso alla piccola nave. Questa con una rapida manovra le evitava, gettandosi in mezzo ai banchi che sormontava con slanci impetuosi e che spezzava col proprio peso.
Nessuna nave si scorgeva su quel mare. Da quando le balene erano scomparse e le foche pure, quelle acque erano diventate deserte.
Abbondavano invece sempre gli uccelli marini, anzi si mostravano così
familiari che calavano in buon numero sulla galleria del battello senza inquietarsi per la presenza dei marinai.
Verso le dieci del mattino, dopo un’abbondante colazione offerta dal capitano ai passeggeri, e che era già compresa nel prezzo del biglietto, il Narval, tale era il nome del battello, giungeva dinanzi alle spiagge meridionali della Terra di Baffin e precisamente all’imboccatura di un canale che era formato da due immense rupi, alla cui estremità si vedeva la terra scendere dolcemente.
La nave con pochi colpi di sperone si aprì il passo fra i ghiacci che avevano già otturata l’entrata del passaggio, poi s’avanzò lentamente finché l’acqua venne a mancare.
Le quattro ruote avevano lasciate le loro nicchie, abbassandosi in attesa di mettersi in funzione.
«Ecco che diventa tramvai,» disse Holker. «La nave lascia il mare per la terra.»
Il Narval si era bruscamente inclinato e le ruote anteriori si erano messe in movimento.
Mentre la poppa era ancora in acqua, la prora saliva la riva senza scosse e senza fatica.
Ben presto l’intera nave si trovò in terra e partì con una velocità di trentacinque o quaranta chilometri all’ora, come fosse un vero tramvai elettrico, percorrendo una via segnalata da altissimi pali.
Una pianura immensa, quasi liscia, coperta da un alto strato di ghiaccio e di neve gelata, si estendeva a perdita d’occhio dinanzi ai viaggiatori polari.
Quella terra, quantunque spazzata dai venti e dagli uragani polari, non era del tutto disabitata.
Di quando in quando, a lunghi intervalli, il Narval passava dinanzi a piccoli raggruppamenti di case di ghiaccio, di forma semiovale, abitate dalle ultime famiglie di esquimesi sfuggite miracolosamente alla morte per fame, dopo la distruzione delle ultime balene e delle ultime foche da parte degli avidi pescatori americani.
Vedendo il battello avanzarsi si affrettavano a uscire dalle loro casupole per chiedere qualche biscotto o qualche scatola di carne o di brodo concentrato.
Erano i medesimi tipi di cent’anni prima. Un tronco tozzo su due gambe pure tozze, una testa grossa cogli zigomi sporgenti, faccia larga, capelli neri, naso schiacciato; una certa somiglianza insomma con le loro buone amiche ormai scomparse: le foche.
Disgraziatamente per loro, non si nutrivano più colle carni delle loro foche come un secolo prima, non si vestivano più colle loro calde pellicce, non illuminavano più le loro casupole col loro grasso.
Avevano anche essi un pezzo di radium, ed invece di avere delle fiocine colla punta di osso, portavano a tracolla dei buoni fucili elettrici coi quali si procuravano il cibo giornaliero massacrando gli uccelli marini, sempre numerosi in grazia della cattiva qualità delle loro carni, eccessivamente oleose per i palati americani ed europei.
Erano molto sparuti però, quei poveri diavoli, quantunque si sapesse, anche cent’anni prima, di che specie di appetito erano dotati quegli abitanti dei ghiacci eterni.
Essi infatti non facevano smorfie dinanzi ad un pesce avariato, o a dei volatili in piena decomposizione, e a degli intestini d’orso bianco, e perfino dinanzi a degli escrementi o agli avanzi non ancora digeriti che ritiravano dal ventre delle renne uccise.
Avevano anche perduta la loro proverbiale gaiezza in seguito alla mancanza di scorpacciate di lardo di balena!
Si capiva che proprio la distruzione di quei giganteschi mammiferi aveva modificato profondamente il loro temperamento, un tempo così gaio.
«Ecco una razza destinata a scomparire al pari dei pellirosse» disse Brandok, che era già uscito parecchie volte dalla galleria, per gettare a quei disgraziati parecchie ceste di biscotti, acquistate dal dispensiere del Narval.
«Quanti anni durerà ancora?»
«Pochi lustri di certo» rispose Holker. «Non sono uomini da poter prendere parte alla grande lotta per l’esistenza. Scomparse le foche e le balene di che cosa potrebbero vivere? Se i viaggiatori che vanno al polo non li aiutassero, a quest’ora sarebbero completamente spariti.»
«Eppure vi è una colonia polare lassù, mi avete detto.»
«Quelli sono uomini che appartengono alla nostra razza» rispose Holker.
«Ecco l’egoismo della razza bianca!…»
«In coscienza non posso darvi torto.»
«Noi, sempre noi soli a dominare il mondo.»
«È la lotta per la vita, signor Brandok.»
«O meglio la lotta di razza.»
«Come volete» rispose Holker. «Comincia a far buio. Come son brevi le giornate in questa stagione, sulle terre polari! Ecco che il sole tramonta e non sono che le tre pomeridiane!»
«Quando prenderemo il treno polare?» chiese Toby, con evidente impazienza.
«Domani sera.»
«Allora possiamo cenare e coricarci. Vi saranno delle cabine in questo battello.»
«E bene riscaldate, e con un comodo letto. La società polare ferroviaria non lesina mica in fatto di comodità. Venite, amici, per intanto andiamo in sala da pranzo.»
Lasciarono la galleria e scesero in uno splendido salone illuminato da quattro grosse lampade a radium, che mantenevano un calore piacevolissimo.
Si assisero ad una tavola dove si vedevano oltre a dei piatti d’argento, delle coppe di cristallo piene di fiori ottimamente conservati, raccolti probabilmente nelle serre di Quebec.
La composizione della cena era veramente polare. Salmone, filetti di narvalo, fegato di caribou, coscia di renna con crescione, pasticcio di fegato di morsa, gelato, e liquori a discrezione, con tè e caffè a scelta.
«Almeno qui abbiamo della selvaggina» disse Brandok. «Un piatto di gran lusso al giorno d’oggi, è vero, signor Holker?»
«Dite rarissimo, anche nelle grandi città! Vive qui ancora qualche gruppo di renne e si trovano anche dei caribou e qualche morsa. Fra pochi anni vedrete che quegli animali e quegli anfibi saranno completamente scomparsi.»
Cenarono con molto appetito e verso le cinque, mentre un folto nebbione al di fuori scendeva sulle pianure di ghiaccio, si fecero condurre nelle loro cabine dove trovarono dei soffici letti che non erano inferiori a quelli della casa del signor Holker.

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