Testa di Pietra aveva appena pronunciato quel comando, quando vide comparire a corsa sfrenata i due assiani i quali trascinavano il disgraziato segretario, tenendolo ben saldo per i polsi.
«Patre,» disse Wolf, «gl’inglesi! Non andare avanti o ci faremo uccidere tutti.»
«È giunta un’altra scialuppa?» chiese il bretone facendo un gesto d’ira.
«E montata da non meno di due dozzine di marinai con mastri e ufficiali.»
«Sono già sbarcati questi uomini?»
«Sì, avanzano attraverso la foresta e pare si dirigano verso il magazzino.»
«Per tutti i campanili di Bretagna!… Siamo giunti troppo tardi!… dove possiamo rifugiarci ora?»
«Nel pino scavato,» disse Jor. «Nessuno verrà a cercarci là dentro.»
«E intanto perderemo la scialuppa!…»
«La riprenderemo più tardi,» disse Piccolo Flocco. «Ora non è il momento di mostrare i denti agl’inglesi. E poi, penso che ve ne sono altri sei a terra, più o meno ubriachi e che faranno anche loro buon numero.»
Testa di Pietra si strappò parecchi peli della barba arruffata.
«Non lasciamoci prendere,» disse Riberac. «Noi non siamo in grado di resistere a trenta e più uomini.»
«Avete ragione, signore. La partita per ora è perduta. Piccolo Flocco, prendi i quattro tamburi.»
«Che ci possano ancora servire?» chiese il giovane marinaio.
«Vedrai: la carica fa sempre un certo effetto sugl’inglesi.»
Tornarono verso il passaggio segreto, presero i quattro strumenti, poi partirono rapidi attraverso la foresta per giungere al gigantesco pino.
In lontananza si udivano i marinai del brigantino chiamare a gran voce il segretario e i loro sei camerati i quali invece non davano segno di esser vivi.
Probabilmente, vinti dal gin, erano caduti sul margine di qualche macchia e russavano tranquillamente senza nemmeno ricordarsi che dovevano ritornare a bordo per avvertire il marchese della disgrazia toccata al suo segretario.
Jor si era messo alla testa del drappello dei fuggiaschi essendo il solo che conoscesse veramente dove si trovava la caverna legnosa, poiché i due bretoni si sarebbero trovati incapaci di giungervi, non conoscendo i luoghi, né avendo fatto alcun segno sui tronchi delle piante, per potersi poi dirigere.
Attraversarono parecchie macchie foltissime composte per la maggior parte di betulle delle cui scorze gl’indiani si servono per fabbricare dei bellissimi canotti resistenti anche ai salti delle rapide e finalmente si trovarono dinanzi al rifugio, che, come sappiamo, era capace di contenere anche venti persone.
«Per il momento siamo al sicuro,» disse Testa di Pietra. «Noi però abbiamo commesso una grossa sciocchezza. Voi, signor Riberac, non avete pensato ai viveri.»
«Non ne ho avuto il tempo,» rispose il trafficante. «Avevo troppo da fare con quei sei ubriachi che minacciavano di mettere a sacco tutto il magazzino.»
«Credevo che quest’affare dovesse andare molto meglio,» disse il bretone. «Senza scialuppa e senza viveri!…»
«Eh, Piccolo Flocco, mi pare che il Canada non sia un paese troppo favorevole per noi.»
«Sembra anche a me,» rispose il giovane marinaio. «I bretoni però sono sempre bretoni, teste dure che finiscono per spuntarla comunque.»
«Sì, quando non vengono tagliati a colpi d’ascia oppure fucilati a bruciapelo. Jor!…»
«Mastro,» rispose subito il marinaio della fusta.
«E gl’inglesi non scopriranno le nostre tracce? È vero che abbiamo con noi il segretario del marchese che ci servirà per tenere indietro quei signori.»
«Lo pensavo anch’io in questo momento,» disse Jor. «La terra è ancora umida e sarebbe loro facile seguire le nostre orme. Vado a cancellarle.»
«Non ti farai sorprendere?»
«Non temete: questa foresta la conosco troppo bene e, se gl’inglesi vorranno darmi la caccia, li farò correre fino a sfiatarli completamente. Buoni sulle antenne e pessimi camminatori a terra.»
«Pensa che ti aspettiamo, e tutt’altro che tranquilli. È un altro uragano che si abbatte su di noi e questo sarà a base di colpi di carabina.»
«Lasciate fare a me, mastro. Fra mezz’ora, e fors’anche prima, io sarò qui,» rispose il compagno di Davis.
Prese il suo fucile e si allontanò scomparendo ben presto in mezzo alle piante.
«Non cancella le tracce,» disse Piccolo Flocco un po’ inquieto.
«Lo farà nel ritorno,» rispose Testa di Pietra. «E ora, signor Oxford, si può chiedere vostre notizie?»
Il segretario del marchese, il quale si era seduto su un ammasso di polvere legnosa, sempre ben guardato dai due assiani, gli lanciò una occhiata feroce.
«È inutile che straluniate gli occhi in quel modo, mio caro signore,» disse Testa di Pietra. «Ci vuole ben altro per spaventare dei corsari.»
«Che cosa volete da me?» chiese il segretario con voce quasi strozzata.
«Sapere prima di tutto da voi quanti uomini si trovano a bordo del brigantino.»
«Io non li ho contati.»
«I vostri occhi erano malati per caso?»
«E molto.»
«E sono subito guariti quando il marchese vi ha lanciato sulle mie tracce?»
«Infatti, sbarcando qui, ci ho veduto subito benissimo. Sarà stata l’aria resinosa di questi boschi.»
«Quest’aria, caro signore, cura i polmoni e non gli occhi. Non crediate di aver a che fare con uno sciocco.»
«Ho tanto piacere di saperlo.»
«Perché il marchese è tanto accanito contro di me?»
«So che desidera avervi nelle sue mani insieme a Piccolo Flocco. Ha dei vecchi conti da regolare con voi, dovete ben saperlo.»
«Infatti noi gli abbiamo giocato parecchi pessimi tiri, ma eravamo in piena guerra e si trattava di non fare l’ultima danza alle estremità dei pennoni del suo vascello. Voi avreste fatto altrettanto.»
Il segretario rispose con un’alzata di spalle.
«È vero che il marchese sa che dal generale Washington e dal baronetto Mac-Lellan mi sono state date due lettere per i comandanti del forte di Ticonderoga.»
«Io non so nulla.»
«Mentite,» disse Riberac, «l’avete detto a me poche ore fa nel mio fortino.»
«Avete capito male,» rispose il segretario.
Poi, guardandolo fisso:
«Ci avete traditi, è vero? E il mio signore contava tanto su di voi!…»
«Io sono canadese, che è quanto dire francese, e non già inglese. Oggi combatto per la libertà americana.»
«E anche il vostro compagno Jor?»
«È canadese anche lui.»
«Avete ben giocato il mio signore. Ci saranno delle corde anche per voi, non dubitate.»
«E quelle saranno grosse come le gomene delle ancore di speranza,» disse Testa di Pietra ironicamente. «E non pensate, signore, ad una possibile vostra impiccagione? Ci sono migliaia e migliaia di alberi in questa foresta che non si romperanno sotto il vostro magro corpo. Un pezzo di gherlino, noi marinai, lo abbiamo sempre in tasca.»
«E osereste?» gridò il segretario impallidendo.
«Signor mio, noi oseremo tutto se il marchese non ci lascia il passo libero per andare al forte.»
«Lui cedere dinanzi a sei uomini?»
«Lo si vedrà più tardi. Io spero che ci terrà a salvar la vostra pelle,» rispose il bretone.
«Dunque, vorreste impiccarmi!…»
«C’è tempo, signore,» disse Testa di Pietra. «Noi non abbiamo mai fretta.»
In quel momento sul brigantino rimbombarono alcune cannonate alle quali fecero subito eco alcune scariche di carabine sparate certamente dal secondo drappello di marinai.
«Il marchese deve chiedere vostre notizie,» disse Testa di Pietra.
«Sarà certamente inquieto per la vostra scomparsa.»
Il segretario stava per rispondere, quando Piccolo Flocco si precipitò verso l’uscita della caverna legnosa gridando:
«Ecco Jor che ritorna correndo. Mi pare che sia inseguito.»
«Corpo d’una cannonata!…» esclamò Testa di Pietra alzandosi rapidamente. «Che si sia lasciato sorprendere? Non avrà più il tempo di cancellare la nostre tracce e gl’inglesi non tarderanno a scovarci. Fortunatamente abbiamo il signor Oxford ed i nostri tamburi.»
Aveva raggiunto Piccolo Flocco il quale era già uscito con la carabina armata, pronto a far fuoco.
Jor si avanzava correndo come un cervo, spiccando dì quando in quando dei gran salti per guadagnar terreno: anche lui teneva saldamente fra le mani il fucile.
«Sì, dev’essere inseguito,» disse il vecchio mastro, il cui viso si era molto rannuvolato. «Bel merlo bianco a lasciarsi cogliere!… Ed è un marinaio e, per giunta, un canadese.»
«Resteremo qui o fuggiremo?»
«Aspettiamo, Piccolo Flocco. Sai che io non ho mai fretta e che pure giungo sempre in tempo per salvare le situazioni difficili.»
Anche Riberac era uscito seguito da Wolf. Hulrik era rimasto a guardia del prigioniero.
Jor, il quale avanzava sempre velocissimo, in pochi minuti giunse dinanzi al pino gigante. Malgrado il freddo intenso, sudava come un cavallo che avesse percorso d’un fiato quattro leghe.
«Sei inseguito?» gli chiese Testa di Pietra.
«Sì,» rispose il marinaio della fusta. «Ho alle mie calcagna dodici marinai guidati da un ufficiale. Stavo per entrare nel fortino per portarvi dei viveri quando fui veduto ed inseguito attraverso il passaggio segreto. Fortunatamente, ho avuto il tempo di aprire la porta che immette sul piccolo ponte e di slanciarmi attraverso la foresta.»
«Saranno lontani gl’inglesi?» chiese il bretone.
«Non tarderanno a giungere. Mi stringevano troppo da vicino, seguendo le mie orme quand’io scomparivo in mezzo ai macchioni.»
«L’affare è grave.»
Rifletté un momento, poi disse:
«Che Hulrik rimanga dentro il pino a guardia del prigioniero e noi prendiamo i nostri tamburi e andiamo a imboscarci a poca distanza.
Qui le grandi macchie non mancano e possono nascondere anche cinque o seicento uomini. Proviamo.»
«Avete tanta fiducia nei miei poveri strumenti?» chiese Riberac un po’ ridendo.
«Ah, molta!… Batteremo furiosamente ancora le pelli d’asino e vedrete che otterremo un bel successo. Su, lesti, e tu, Hulrik, tieni fermo il segretario del marchese. Non temere: saremo pronti a venire in tuo aiuto.»
«Sì, patre,» rispose il buon assiano. «Io restare anche se giungere palle.»
«Lo so che tu sei coraggioso.»
Si caricarono dei tamburi e si gettarono dentro una folta macchia di betulle e di pini, prendendo subito posizione dietro il tronco enorme di un albero caduto per decrepitezza.
«Corpo di tutti i campanili della Bretagna!…» esclamò Testa di Pietra, facendo schioccare le dita. «Abbiamo trovato perfino una barricata. Che cosa si poteva desiderare di più? Fra tante disgrazie qualche colpo di fortuna giunge sempre in tempo. Ah, eccoli!… Sono tredici!… Brutto numero per loro.»
Un piccolo drappello di marinai, guidati da un ufficiale e che doveva aver seguite le orme di Jor, era sbucato a trecento metri dal gigantesco pino, dopo aver attraversato una macchia piuttosto fitta. Si avanzavano cautamente con i fucili in mano, temendo certamente qualche brutta sorpresa.
Forse gli altri si erano fermati al fortino per cercare il segretario del marchese.
«Signor Riberac, sapete battere il tamburo?»
«Bene o male picchierò sulla pelle d’asino,» rispose il trafficante.
«E tu, Jor?»
«Passabilmente. Sono stato soldato,» rispose il marinaio della fusta.
«Wolf e Piccolo Flocco conoscono pure queste pelli d’asino e suoneranno per i primi la carica. Aspettate però prima il mio comando.»
«Dove vai?» chiese il giovane marinaio vedendolo saltare la barricata.
«A fare quattro chiacchiere con quei signori,» rispose il vecchio bretone. «Lascia fare a me. Vedrai che saprò cavarmela senza che una palla mi buchi le carni.»
«È un’imprudenza.»
Il bretone non l’ascoltava più. Si era fatto avanti, tenendo sempre la carabina armata, e aveva lasciata la macchia.
Gl’inglesi si erano allora arrestati per rilevare le piste di Jor.
«Miei signori!…» gridò. «Si può sapere dove andate? Dovreste pur sapere che queste rive del Champlain sono state ormai conquistate dagli americani. Siamo in mille pronti a farvi a pezzi se non vi arrendete.»
L’ufficiale, un giovanotto biondo, si era subito risollevato da terra, fissando i suoi occhi azzurri su mastro Testa di Pietra.
Anche i suoi marinai erano balzati in piedi radunandosi dietro il loro capo.
«Chi siete voi?» chiese l’ufficiale.
«Il famoso mastro Testa di Pietra che il marchese conosce molto bene, sapete: sono quello che vi cannoneggiava dalla Tuonante e che vi spaccava alberi e pennoni.»
«Voi!…» esclamò l’inglese dopo una lunga esitazione.
«Sì, sono io alla testa di mille americani che sono nascosti nella foresta.»
«Voi scherzate.»
«Se abbiamo già fatto prigioniero il signor Oxford!…»
«Ah, lo tenete voi!…»
«È strettamente sorvegliato e con una corda al collo per poterlo impiccare al più presto se voi tenterete di avanzarvi.»
«Il signor Oxford nelle vostre mani!…» esclamò l’ufficiale.
«Ve lo faremo vedere.»
«Avanti, miei marinai!…» gridò l’ufficiale. «Abbiamo i compagni alle spalle pronti ad aiutarci.»
«Non vi arrestate?»
«No: non sono cosi stupido da credere che qui vi siano tanti americani.»
«La carica!… La carica!…» urlò Testa di Pietra rifugiandosi lestamente dietro il grosso tronco del pino che formava la barricata.
I quattro tamburi si misero a picchiare furiosamente, producendo un frastuono spaventevole in causa della eco che i grandi alberi si rimandavano. Pareva che rullassero cinquanta pelli d’asino invece che solo quattro. Gl’inglesi, giustamente impressionati, si erano subito fermati, poi si erano gettati dietro i tronchi degli alberi per paura di ricevere una scarica.
Solamente l’ufficiale era rimasto coraggiosamente al suo posto impugnando una sciabola d’abbordaggio.
«Signore!…» gridò Testa di Pietra. «Credete ora che vi siano degli americani qui? Voi non volevate crederlo.»
«Ebbene, ammazzatemi,» rispose l’inglese. «Ne sono morti tanti in guerra!…»
«Noi non siamo dei cannibali della Polinesia. Dite ai vostri uomini di non fare fuoco se vorranno tornare a bordo del brigantino e voi avvicinatevi pure, ma gettate via le due pistole che portate alla cintura.»
I tamburi avevano cessato di rullare, sicché i due uomini potevano udirsi benissimo.
L’ufficiale ebbe una lunga esitazione, poi si avanzò di cinquanta o sessanta passi, dopo aver fatto segno ai suoi uomini di non muoversi.
Testa di Pietra rivarcò la barricata e gli mosse incontro accompagnato da Piccolo Flocco, il quale aveva gettate le bacchette dello strumento per prendere la carabina.
«Ebbene, signore,» chiese continuando ad avanzarsi. «Vi decidete a gettare le vostre pistole? Sapete, la collera è cattiva consigliera e certe volte fa commettere delle sciocchezze. Vi prometto di non farvi prigioniero. Se l’avessi voluto avrei lanciato due o trecento uomini contro di voi e vi avrei presi tutti.»
«Ma dove sono i vostri soldati?»
«Ben imboscati.»
«Eppure eravamo stati assicurati che da queste parti non si trovavano americani.»
«Vi hanno ingannati, signor mio, ecco tutto.»
«E voi avete preso il signor Oxford?»
«Precisamente.»
«E che cosa volete farne?»
«Impiccarlo, se il marchese d’Halifax non accetterà le nostre condizioni.»
«Quali sarebbero?»
«Di lasciare a noi una grossa scialuppa e la sua promessa di non importunarci se manderemo alcuni fidi al forte di Ticonderoga.»
«Conosco troppo bene il lord: non accetterà mai.»
«E noi abborderemo il suo brigantino e navigheremo con quello.»
«Voi dite e dite, però non mi avete fatto vedere ancora il signor Oxford,» disse l’ufficiale un po’ impazientito. «Potrebbe essere sfuggito alla vostra caccia.»
«Lo credete? Aspettate un po’.»
Con le mani fece portavoce e si mise a gridare con voce tonante.
«Hulrik, conduci fuori il prigioniero. Ci siamo sempre noi a guardarti. Se sparano sono morti tutti!…»
«Subito, patre, obbedire,» urlò l’assiano.
«Legagli prima le mani dietro il dorso.»
«Afere già fatto.»
Testa di Pietra e Piccolo Flocco si avvicinarono al gigantesco pino presso il quale si era fermato l’ufficiale senza che si accorgesse dell’apertura.
Hulrik non tardò a uscire tenendo ben stretto il segretario del marchese quantunque lo avesse legato.
«Signor ufficiale,» disse Testa di Pietra. «Lo conoscete questo prigioniero?»
«Il signor Oxford!… Non avrei creduto di trovarlo ancora vivo,» rispose l’inglese.
«Vi ho già detto che non siamo dei cannibali della Polinesia. Non siamo nemmeno degli appiccagente,» disse il bretone. «Guardatelo: gode ottima salute. Siete ora convinto che si trova nelle nostre mani?»
«Non sono cieco.»
«Volete tentare di liberarlo con la forza?»
«Per sacrificare tutti i miei uomini? Siamo troppo pochi, ma fra non molto giungerà tutta la squadra di Burgoyne e allora saremo in diecimila.»
«Né io né i miei soldati staremo qui ad aspettarvi e il segretario non lo troverete più. Se il marchese vuole riscattarlo subito, deve mettere a mia disposizione una scialuppa e un salvacondotto per poter attraversare il lago.»
«Non accetterà, ve lo dico io: conosco bene il lord.»
«Tornate a bordo con tutti i vostri uomini e riferitegli quanto avete veduto e quanto vi ho detto. Noi vi lasceremo imbarcare tranquilli, senza sparare un colpo di fucile.»
«Voi siete troppo generoso,» disse l’ufficiale suo malgrado.
Guardò il segretario del marchese che si era seduto su un cumulo di vecchie fibre legnose a fianco dell’assiano il quale lo sorvegliava attentamente col fucile armato e gli chiese:
«Devo obbedire, signor Oxford?»
«Fate quello che credete,» rispose il segretario asciuttamente.
«Impegnare una lotta non è possibile. Vi sono troppi uomini nascosti nella foresta pronti a piombarci addosso.»
«Io non so.»
«E allora ritorno a bordo.»
«E quando tornerete?» chiese mastro Testa di Pietra.
«Il più presto possibile,» rispose l’ufficiale.
«Vi accordo due ore: se non sarete qui prima che siano trascorse farò impiccare il mio prigioniero. Ora potete andarvene: sono le dieci, e il mio orologio è giusto come un cronometro da marina. Badate di non lasciare degli uomini a terra o noi, se li sorprenderemo, li fucileremo.»
L’ufficiale raccolse le sue pistole, ringuainò la sciabola d’abbordaggio, fece un leggero saluto e raggiunse i suoi uomini i quali erano sempre rimasti imboscati e ben riparati dietro i grossi tronchi di pini.
Il drappello si formò e si allontanò rapidamente dirigendosi verso la spiaggia.
Jor, Riberac e Wolf erano subito accorsi.
«Speriamo,» disse a loro Testa di Pietra. «Intanto gl’inglesi hanno creduto che la foresta pulluli di americani. Quei tamburi hanno fatto meglio che due pezzi di cannone da trentadue. Ora che siamo tornati padroni della spiaggia e che abbiamo due ore di tregua, possiamo pensare al nostro pranzo. Vi pare, signor Riberac?»
«Nel mio magazzino vi sono viveri in abbondanza; lo sapete bene.»
«Me ne incarico io,» disse Piccolo Flocco.
«Ed io vi accompagno,» disse Jor. «Faremo una rapida corsa e porteremo qui quanto potremo.»
«Guardatevi dalle sorprese,» disse Testa di Pietra. «Non c’è da fidarsi dei marinai inglesi.»
«Apriamo bene gli occhi,» rispose Piccolo Flocco. «E poi le nostre gambe sono ancora leste, è vero, Jor?»
«Lo credo,» rispose il canadese, gettandosi sulle spalle il fucile.
«E guardatevi da qualche cannonata. Il marchese può lasciare impiccare il segretario.»
Poi volgendosi verso Riberac, disse:
«Ed ora lasciamo questo rifugio che a noi non può più servire e ritiriamoci verso la grande foresta. L’ufficiale lo ha veduto ed io non ho alcun desiderio di farmi assediare dentro questo pino.»
«Volevo proporvelo,» disse il trafficante.
Si fermarono alcuni minuti, seguendo cogli sguardi Jor e Piccolo Flocco e, quando li videro scomparire in direzione del fortino, tornarono verso la macchia conducendo con loro il segretario, non più però legato.
Quantunque l’uragano fosse cessato sul Champlain, violentissime raffiche di vento impregnate di nevischio scorrazzavano sotto i pini e le betulle, rumoreggiando.
Dinanzi a loro fuggivano, a tutte ali spiegate, i grossi cigni canadesi pesanti più di trenta libbre, seguiti da lunghissime file di oche e di arzavole assai più grosse di quelle che vivono nelle paludi e nei laghi europei.
Testa di Pietra, vedendoli spingersi verso terra, crollava il capo mormorando:
«Che il Champlain sia sempre così burrascoso d’inverno?»
Si cacciarono dietro la barricata e, con rami di betulle e lunghe strisce di scorza che si staccava facilmente, si formarono rapidamente una piccola capanna, abbastanza capace di proteggerli dal nevischio.
Non occorrerebbe dire che si erano messi intorno i famosi tamburi che avevano fatto scappare più che in fretta i marinai del marchese.
Ci contavano ancora per battere la terza carica, nel caso che altre truppe fossero sbarcate in buon numero. Avevano appena preparato il loro ricovero, quando ricomparvero Jor e Piccolo Flocco, portando sulle spalle delle casse.
«Non è stato saccheggiato il mio magazzino?» chiese Riberac al giovane marinaio.
«Tutto è ancora in ordine, signore. Devo darvi una brutta notizia però» rispose Piccolo Flocco.
«Quale?» chiese Testa di Pietra.
«Gl’inglesi hanno appiccato i sei marinai che avevano scortato il signor Oxford.»
«Li avranno sorpresi ubriachi e forse ancora addormentati. Gli inglesi non scherzano con la disciplina. Sono terribili.»
«La colpa è stata mia,» disse Riberac. «E d’altronde se non li avessi lasciati bere mi avrebbero incendiato il magazzino o avrebbero ammazzato anche me e Jor. So che cosa son i marinai a terra.»
«Gli altri sono scomparsi tutti?» chiese Testa di Pietra.
«Sono tornati verso il brigantino,» rispose Piccolo Flocco. «Li abbiamo veduti imbarcarsi e non mancavano che i sei disgraziati che ora il vento dondola all’estremità dei rami di un grosso pino.»
«Vicino al fortino?»
«A quattro o cinquecento passi.»
«È feroce, quel marchese. Il suo fratellastro, il baronetto Mac-Lellan, non ha mai fatto danzare nessuno dei suoi corsari all’estremità dei pennoni. Ah!… Quello è un uomo!… Ma nelle sue vene, se scorre sangue inglese, scorre pure sangue francese.»
«Mastro,» disse Riberac, mentre Jor, Piccolo Flocco ed i due assiani aprivano le casse, levando prosciutti, biscotti, lingue di bisonte affumicate e parecchie bottiglie, «mi spiegherete una buona volta perché quei due fratelli si odiano tanto e vengono a cercarsi perfino in America per ammazzarsi?»
«Quando avremo mangiato,» rispose Testa di Pietra. «Abbiamo fatto un servizio assai pesante e poi anche l’illustrissimo segretario del marchese avrà fame. Noi non usiamo negare i viveri ai prigionieri, come fanno sovente gl’inglesi.»
«Dicono così le cattive lingue,» disse Oxford colla sua voce sempre dura e altezzosa.
«Lo so io, mio caro signore, che sono stato prigioniero per alcuni giorni del marchese. Voi inglesi amate più abbondare di corde insaponate che di larghe razioni a base di biscotti e di carne salata.»
«Vedo che non sei morto.»
«Vi erano delle brave persone che all’insaputa del marchese non mi lasciavano mancare nulla. È vero, Piccolo Flocco, tu che mi hai tenuto compagnia?»
«Vero come un libro stampato,» rispose il giovane marinaio, il quale affettava prosciutti e lingue, accumulando tutto sul coperchio di una cassa. «Non ci mancava nemmeno il tabacco.»
«Patre,» disse Hulrik, «colazione pronta. Non lasciare scappare questa tregua.»
Un colpo di cannone rimbombò in quel momento, seguito subito dopo da parecchi altri: delle palle grandinavano sulla foresta con rauchi sibili, spaccando qua e là dei rami, i quali precipitavano al suolo con grande fracasso.
«Altro che tregua!…» esclamò Testa di Pietra. «Sono appena le undici e hanno gìà cominciato le ostilità. Signor Oxford, il marchese pare che vi abbia abbandonato al vostro destino. Vi pare?»
Il segretario si fece oscuro in viso, aggrottò la fronte e strinse i denti, ma non rispose.
«Lasciamoli sfogare.» disse Testa di Pietra. «Mi rincresce per voi, signor Riberac.»
«Perché?» chiese il trafficante.
«Perché ora il brigantino comincia a scagliare palle infuocate sul vostro magazzino per incendiarvelo.»
«Come sapete voi che sono palle infuocate?»
«Un vecchio artigliere non s’inganna mai. I proiettili freddi hanno un altro suono.»
«Già sapevo che non avrei salvato il mio magazzino,» rispose il trafficante, «o gl’inglesi, o gli americani, o gl’indiani, presto o tardi me lo avrebbero vuotato. Mi ero già da tempo rassegnato, però ho avuto la precauzione di nascondere in un luogo sicuro le mie ghinee, frutto di tanti anni di pericoli e di fatiche e sarò sempre abbastanza ricco.»
«Ecco,» disse Testa di Pietra, il quale si era alzato tenendo in mano una larga fetta di prosciutto salato ed un biscotto. «Gli artiglieri del brigantino hanno proprio preso di mira il fortino. Approfittano della breve calma che regna sul lago, calma però che si romperà prima di sera, poiché quando i cigni e le oche si rifugiano dentro terra, vuol dire che qualche burrasca sta per scoppiare. Piccolo questo Champlain, eppure sempre collerico.»
«Siamo nella cattiva stagione,» rispose il trafficante, il quale stava seduto sul pino abbattuto che serviva da barricata, divorando della lingua affumicata accompagnata con biscotti ed innaffiandola con una bottiglia di vino secco bianco d’importazione francese.
Pareva che non ci pensasse più al suo magazzino, il quale forse in quel momento doveva aver ricevuto più di qualche palla infuocata.
Tutti si erano messi a mangiare, tranquilli come se si trovassero fuori portata di qualche pezzo di cannone. Anche il signor Oxford si era degnato di accettare un salsicciotto.
Intanto le cannonate si succedevano alle cannonate e venivano sparate ora tutte in direzione del fortino.
Il marchese ne aveva decretata certamente la distruzione, forse credendo che vi si trovassero degli americani.
Già più di venti cannonate erano echeggiate, quando Testa di Pietra indicò al trafficante una nuvola di fumo che si alzava sul deposito.
«Ci perderete?…» chiese.
«Cinquemila ghinee,» rispose Riberac, «ma il marchese me ne ha date il doppio per la vostra cattura.»
«Allora non potete lamentarvi.»
«Affatto.»
«Mi rincresce per i prosciutti che friggeranno allegramente e che noi non potremo più assaggiare,» disse il bretone. «Era comodo per noi quel magazzino.»
«Che cosa volete farci? Così è la guerra.»
«Corpo di centomila pipe fracassate!… Lo so ben io che non ho fatto altro che combattere al di là dell’Atlantico ed al di qua.»
«E sempre conservandovi in buona salute, è vero?» disse il trafficante a bocca semipiena.
«Di scaglie di mitraglia ne ho ricevute, e non poche, eppure nessuna mi ha mandato all’altro mondo a guidare qualche barca di Belzebù,» rispose Testa di Pietra. «Noi abbiamo le teste dure ed anche la pelle dura. Signor Riberac, le vostre provviste bruciano.»
«Lo vedo,» rispose il trafficante, continuando a mangiare. «Non possiamo salvarle e lasciamole quindi andare.»
Una lingua di fuoco si slanciò al di sopra del fortino sibilando, poi una pioggia di scintille si disperse all’intorno, spinta dal vento.
Passarono due o tre minuti, poi si udì un gran rombo.
Le provviste di polvere del trafficante avevano preso fuoco ed avevano fatto saltare il deposito.
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