All’indomani pareva che il delirio si fosse impadronito dei pirati di Mompracem. Non erano uomini, ma titani che lavoravano con energia sovrumana a fortificare la loro isola che ormai più non volevano abbandonare, dacché la "Perla di Labuan" aveva giurato di rimanervi.
S’affaccendavano attorno alle batterie, rizzavano nuove trincee, battevano furiosamente le rupi per staccare massi che dovevano rinforzare i ridotti, empivano i gabbioni che disponevano dinanzi ai cannoni, abbattevano alberi per rizzare nuove palizzate, costruivano nuovi bastioni che munivano colle artiglierie levate ai prahos, scavavano trabocchetti, preparavano mine, empivano i fossati di ammassi di spine e piantavano nel fondo punte di ferro avvelenate col succo dell’upas; fondevano palle, rinforzavano le polveriere, affilavano le armi.
La Regina di Mompracem, bella affascinante, scintillante d’oro e di perle, era là ad incoraggiarli colla sua voce e coi suoi sorrisi.
Sandokan era alla testa di tutti e lavorava con una attività febbrile che pareva una vera pazzia. Correva dove era necessario il suo intervento, aiutava i suoi uomini a porre in batteria le artiglierie, spezzava rupi per ricavare materiali, dirigeva le opere di difesa su tutti i punti, validamente aiutato da Yanez, che pareva avesse perduta la sua solita calma.
La cannoniera, che navigava sempre in vista dell’isola, spiando i lavori, bastava a stimolare i pirati, convinti ormai che attendesse una potente squadra per bombardare la rocca della Tigre.
Verso il mezzodì giunsero al villaggio parecchi pirati che erano partiti la sera innanzi coi tre prahos e le notizie che recarono non erano inquietanti. Una cannoniera che pareva spagnola si era mostrata al mattino diretta verso l’est, ma sulle coste occidentali nessun nemico era apparso.
– Temo un grande attacco – disse Sandokan a Yanez. – Gli inglesi non verranno soli ad assalirmi, lo vedrai.
– Che abbiano fatto lega cogli spagnoli e cogli olandesi?
– Sì, Yanez, e il mio cuore mi dice che non m’inganno.
– Troveranno pane pei loro denti. Il nostro villaggio è diventato inespugnabile.
– Forse, Yanez, ma non disperiamo. Ad ogni modo in caso di sconfitta i prahos sono pronti a prendere il largo.
Si rimisero al lavoro mentre alcuni pirati invadevano i villaggi indigeni disseminati nell’interno dell’isola, per reclutare gli uomini più validi. Alla sera il villaggio era pronto a sostenere la lotta e presentava una cinta di fortificazioni veramente imponente.
Tre linee di bastioni, gli uni più robusti degli altri, coprivano interamente il villaggio, estendendosi in forma di semicerchio.
Palizzate e fossati ampi rendevano la scalata di quei fortini quasi impossibile. Quarantasei cannoni del calibro di 12, di 18 e alcuni da 24 collocati nel gran ridotto centrale, una mezza dozzina di mortai e sessanta spingarde difendevano la piazza, pronti a vomitare palle, granate e mitraglia sulle navi nemiche. Durante la notte Sandokan fece disalberare e vuotare di tutto ciò che contenevano i prahos, quindi li affondò nella baia onde il nemico non se ne impadronisse o li sfracellasse e mandò parecchi canotti al largo onde sorvegliare le mosse della cannoniera, ma questa non si mosse.
All’alba Sandokan, Marianna e Yanez, che da alcune ore dormivano nella grande capanna, furono bruscamente svegliati da acuti clamori.
– Il nemico! il nemico! – si gridava nel villaggio.
Si precipitarono fuori della capanna e si spinsero sull’orlo della gigantesca rupe. Il nemico era là, a sei o sette miglia dall’isola e si avanzava lentamente in ordine di battaglia. Nel vederlo, una profonda ruga solcò la fronte di Sandokan, mentre il viso di Yanez si oscurava.
– Ma è una vera flotta – mormorò questi. – Dove quei cani d’inglesi hanno raccolto tante forze?
– È una lega che quelli di Labuan mandano contro noi – disse Sandokan. – Guarda, vi sono legni inglesi, olandesi, spagnoli e perfino dei prahos di quella canaglia di sultano di Varauni, pirata quando vuole e che è geloso della mia potenza.
Ed era proprio vero. La squadra assalitrice si componeva di tre incrociatori di grande tonnellaggio, portanti bandiera inglese, di due corvette olandesi potentemente armate, di quattro cannoniere e d’un cutter spagnoli, e di otto prahos del sultano di Varauni. Potevano disporre tutti assieme di centocinquanta o centosessanta cannoni e di millecinquecento uomini.
– Sono molti per Giove! – esclamò Yanez. – Ma noi siamo valorosi e la nostra rocca è forte.
– Vincerai, Sandokan? – chiese Marianna con voce che tremava.
– Speriamo, amor mio – rispose il pirata. – I miei uomini sono audaci.
– Ho paura, Sandokan.
– Di che cosa?
– Che una palla ti uccida.
– Il mio buon genio che per tanti anni mi protesse non mi abbandonerà oggi che pugno per te. Vieni Marianna, che i minuti sono preziosi.
Scesero la gradinata e si recarono al villaggio, dove i pirati avevano già preso posto dietro ai cannoni, pronti a impegnare con gran coraggio la titanica lotta. Duecento indigeni, uomini che sapevano se non resistere ad un urto, almeno trarre archibugiate e anche cannonate, manovra che avevano appreso con facilità sotto i loro maestri, erano già giunti e si erano disposti nei punti assegnati dai capi della pirateria.
– Buono – disse Yanez. – Saremo in trecentocinquanta a sostenere l’urto. Sandokan chiamò sei dei più valorosi uomini e affidò loro Marianna, onde la internassero nei boschi per non esporla al pericolo.
– Va’, mia diletta – diss’egli stringendosela al cuore. – Se io vinco tu sarai ancora la Regina di Mompracem e se la fatalità mi farà perdere, spiccheremo il volo e andremo a cercare la felicità su altre terre.
– Ah! Sandokan, ho paura! – esclamò la giovanetta piangendo.
– Tornerò da te, non temere mia diletta. Le palle risparmieranno la Tigre della Malesia, anche in questa pugna.
La baciò in fronte, poi fuggì verso i bastioni, tuonando:
– Su tigrotti, che la Tigre è con voi! Il nemico è forte, ma noi siamo ancora le tigri della selvaggia Mompracem.
Un urlo solo vi rispose:
– Viva Sandokan! Viva la nostra Regina!…
La flotta nemica si era arrestata a sei miglia dall’isola e parecchie imbarcazioni si staccavano dalle navi conducendo qua e là numerosi ufficiali. Sull’incrociatore, che aveva inalberate le insegne di comando, si teneva senza dubbio consiglio. Alle dieci le navi e i prahos, sempre schierati in ordine di battaglia, muovevano verso la baia.
– Tigri di Mompracem! – gridò Sandokan che si trovava ritto sul gran ridotto centrale, dietro un cannone da ventiquattro. – Rammentatevi che difendete la "Perla di Labuan" e quegli uomini là, che vengono ad assalirci, sono coloro che assassinarono sulle coste di Labuan i vostri compagni!
– Vendetta! Sangue! – urlarono i pirati.
Un colpo di cannone partì in quel momento dalla cannoniera che da due giorni spiava l’isola e per un caso strano la palla abbattè la bandiera della pirateria, che sventolava sul bastione centrale. Sandokan sussultò e sul suo viso si dipinse un vivo dolore.
– Vincerai, o flotta nemica! – esclamò con voce triste. – Il cuore me lo dice!
La flotta si avvicinava sempre, mantenendosi su una linea il cui centro era occupato dagli incrociatori e le ali dai prahos del sultano di Varauni. Sandokan lasciò che si avvicinasse sino a mille passi, poi alzando la scimitarra tuonò:
– Ai vostri pezzi, tigrotti! Non vi trattengo più: spazzatemi il mare da questi prepotenti. Fuoco!…
Al comando della Tigre i ridotti, i bastioni, i terrapieni avvamparono su tutta la linea, formando una sola detonazione capace di essere udita fino alle Romades. Sembrò che l’intero villaggio saltasse in aria e la terra fremette fino al mare. Nubi densissime di fumo avvolsero le batterie, ingigantendo sotto nuovi colpi che si succedevano furiosamente distendendosi a destra e a sinistra, dove tiravano le spingarde.
La squadra, quantunque assai maltrattata da quella formidabile scarica, non stette molto a rispondere.
Gli incrociatori, le corvette, le cannoniere e i prahos si coprirono di fumo tempestando le opere di difesa con palle e granate, mentre un gran numero di abili bersaglieri apriva un vivo fuoco di moschetteria, che se riusciva inefficace contro i bastioni, molestava e non poco gli artiglieri di Mompracem. Non si perdeva colpo né da una parte né dall’altra, si gareggiava di celerità e di precisione, risoluti di esterminarsi da lontano prima, e poi da vicino. La flotta aveva la supremazia delle bocche da fuoco e degli uomini e aveva il vantaggio di muoversi e di isolarsi dividendo i fuochi del nemico, ma con tutto ciò non guadagnava.
Era bello vedere quel villaggio, difeso da un pugno di prodi, che avvampava da tutti i lati rispondendo colpo per colpo, vomitando torrenti di palle e di granate e uragani di mitraglia, fracassando i fianchi dei navigli, massacrando le manovre e sventagliando gli equipaggi.
Aveva ferro per tutti, ruggiva più forte di tutti i cannoni della flotta, puniva i bravacci che venivano a sfidarlo a poche centinaia di metri dalle coste, faceva indietreggiare i più audaci che cercavano di sbarcare i soldati e per tre miglia faceva saltare le acque del mare.
Sandokan, in mezzo alle sue valorose bande, cogli occhi in fiamme, ritto dietro un grosso cannone da 24, che scatenava dalla sua fumigante gola enormi proiettili, tuonava sempre:
– Fuoco miei prodi! Spazzatemi il mare, sventratemi queste navi che vengono per rapire la nostra Regina!
La sua voce non andava perduta. I pirati, conservando un ammirabile sangue freddo fra quella fitta pioggia di palle che sbranava le palizzate, che forava i terrapieni, che sfasciava i bastioni, puntavano intrepidamente le artiglierie incoraggiandosi con clamori tremendi.
Un praho del sultano fu incendiato e fatto saltare, mentre cercava, con una insolente trovata, di approdare ai piedi della grande rupe. I suoi rottami giunsero fino alle prime palizzate del villaggio e i sette od otto uomini, scampati all’esplosione, furono fulminati da un nembo di mitraglia.
Una cannoniera spagnola, che cercava di avvicinarsi per sbarcare i suoi uomini, fu completamente disalberata e venne ad arenarsi dinanzi al villaggio essendogli scoppiata la macchina. Neppure uno dei suoi uomini si salvò.
– Venite a sbarcare! – tuonò Sandokan. – Venite a misurarvi colle tigri di Mompracem se l’osate. Voi siete fanciulli e noi giganti!
Era chiaro che finché i bastioni tenevano duro e le polveri non venivano a mancare, nessuna nave sarebbe riuscita ad avvicinarsi alle coste della terribile isola.
Disgraziatamente pei pirati, verso le sei pomeridiane, quando già la flotta orribilmente malmenata stava per ritirarsi, giunse nelle acque dell’isola un inaspettato soccorso che fu accolto con strepitosi urrah da parte degli equipaggi. Erano altri due incrociatori inglesi e una grossa corvetta olandese, seguiti a breve distanza da un brigantino a vela ma munito di numerose artiglierie. Sandokan e Yanez nel vedere quei nuovi nemici impallidirono. Compresero ormai che la caduta della rocca era questione di ore, pure non si perdettero d’animo e volsero parte dei loro cannoni contro quei nuovi navigli. La squadra così rinforzata riprese nuova lena avvicinandosi alla piazza battendo furiosamente le opere di difesa, già gravemente danneggiate. Le granate cadevano a centinaia dinanzi ai terrapieni, ai bastioni, ai ridotti e sul villaggio, provocando violente esplosioni che diroccavano le opere, frantumando le palizzate, introducendosi attraverso alle feritore. In capo ad un’ora la prima linea dei bastioni non era più che un ammasso di rovine.
Sedici cannoni erano ridotti inservibili e una dozzina di spingarde giacevano fra le macerie e fra un mucchio di cadaveri.
Sandokan tentò un ultimo colpo. Drizzò il fuoco dei suoi cannoni sulla nave comandante, lasciando alle spingarde di rispondere al fuoco degli altri navigli. Per venti minuti l’incrociatore resistette a quella pioggia di proiettili che lo attraversavano da parte a parte, che gli frantumavano le manovre e gli uccidevano l’equipaggio, ma una granata da 21 chilogrammi lanciatagli da Giro-Batol con un mortaio, gli aprì a prua una falla enorme.
Il legno s’inclinò su di un fianco affondando rapidamente. L’attenzione delle altre navi si rivolse a salvare i naufraghi e numerose imbarcazioni solcarono i flutti, ma ben pochi scamparono alla mitraglia dei pirati.
In tre minuti l’incrociatore affondò trascinando seco gli uomini che ancora restavano in coperta.
La squadra per alcuni minuti sospese il fuoco, ma poi lo riprese con maggior furia e si avanzò fino a soli quattrocento metri dall’isola. Le batterie di destra e di sinistra, oppresse dal fuoco, furono ridotte in silenzio in capo a un’ora e i pirati furono costretti a ritirarsi dietro la seconda linea dei bastioni e poi dietro alla terza che era già mezza rovinata. In piedi e ancora in buono stato, non rimaneva che il grande ridotto centrale, il meglio armato e il più robusto.
Sandokan non si stancava di incoraggiare i suoi uomini, ma prevedeva che il momento della ritirata non era lontano.
Mezz’ora dopo una polveriera saltava con terribile violenza sconquassando le cadenti trincee e seppellendo fra macerie dodici pirati e venti indigeni. Fu tentato un altro sforzo per arrestare la marcia del nemico, concentrando il fuoco su un altro incrociatore, ma i cannoni erano troppo pochi, molti essendo stati imbroccati o smontati.
Alle sette e dieci minuti anche il grande ridotto franava, seppellendo parecchi uomini e le più grosse artiglierie.
– Sandokan! – gridò Yanez precipitandosi verso il pirata, che stava puntando il suo cannone. – La posizione è perduta.
– È vero – rispose la Tigre con voce soffocata.
– Comanda la ritirata o sarà troppo tardi.
Sandokan lanciò uno sguardo disperato sulle rovine in mezzo alle quali soli sedici cannoni e venti spingarde ancora tuonavano e un altro sulla squadra che stava calando in mare le imbarcazioni per gli uomini da sbarco. Un praho aveva già gettata l’ancora ai piedi della grande rupe e i suoi uomini si preparavano a prendere posizione.
La partita era irreparabilmente perduta. Fra pochi minuti gli assalitori, trenta o quaranta volte più numerosi, dovevano sbarcare per attaccare le cadenti trincee alla baionetta e distruggere gli ultimi difensori. Un ritardo di pochi momenti poteva diventare funesto e compromettere la fuga verso le coste occidentali.
Sandokan raccolse tutte le forze per pronunciare quella parola giammai uscita dalle sue labbra e comandò la ritirata.
Nel momento che i tigrotti della perduta Mompracem, colle lagrime agli occhi, il cuore straziato, si salvavano nei boschi e gli indigeni fuggivano in tutte le direzioni, il nemico sbarcava irrompendo furiosamente, colle baionette calate, contro le trincee dietro le quali credeva di trovare ancora il nemico. La stella di Mompracem si era estinta per sempre!
il bombardamento di Mompracem
1 Maggio 2009 Di Lascia un commento
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