In rotta per Mompracem

Il vento soffiava dall’est, vale a dire che non poteva essere più favorevole. La canoa, colla sua vela tesa, filava abbastanza rapidamente inclinata sul tribordo, frapponendo, fra il pirata che si sentiva estremamente commosso e la povera Marianna, il vasto mare della Malesia.
Sandokan, assiso a poppa, colla testa tra le mani, non parlava e teneva gli occhi fissi su Labuan che a poco a poco smarrivasi fra le tenebre; Giro-Batol assiso a prua, felice, sorridente chiacchierava per dieci, tenendo gli occhi verso l’ovest, là dove si doveva mostrare la formidabile isola di Mompracem.
– Orsù, capitano – disse questi, che non poteva tacere un solo istante. – Perché diventare cupo ora che stiamo per rivedere la nostra isola? Si direbbe che voi rimpiangiate Labuan.
– Sì, la rimpiango, Giro-Batol – rispose Sandokan con voce sorda.
– Oh! Forse che vi hanno stregato quei cani d’inglesi? Eppure, capitano, vi davano la caccia pei boschi e per le pianure, avidi del vostro sangue. Ah! Vorrei vederli domani se si saranno accorti della vostra fuga, mordersi le dita per la rabbia e vorrei udire le imprecazioni delle loro donne.
– Delle loro donne! – esclamò Sandokan, scuotendosi.
– Sì, poiché ci odiano forse più degli uomini.
– Oh! Non tutte Giro-Batol!
– Sono peggiori delle vipere, capitano, ve l’assicuro.
– Taci, Giro-Batol, taci! Se tu ripeti quelle parole ti precipito in mare!…
Vi era un tale accento di minaccia nella voce di Sandokan che il malese ammutolì di botto. Egli guardò a lungo il terribile uomo, che fissava sempre Labuan comprimendosi il petto con ambe le mani, come se volesse soffocare un dolore immenso, poi si ritrasse lentamente a prua mormorando:
– Gli inglesi lo hanno stregato.
Tutta la notte, la canoa, spinta dal vento dell’est, filò senza incontrare alcun incrociatore e comportandosi abbastanza bene, malgrado le onde che di quando in quando la investivano facendola rollare pericolosamente. Il malese, per paura che Sandokan effettuasse la minaccia, non parlava più; seduto a prua scrutava attentamente la fosca linea dell’orizzonte, per vedere se qualche nave appariva.
Il suo compagno invece, sdraiato a poppa, non staccava gli sguardi dal luogo ove doveva trovarsi l’isola di Labuan, ormai scomparsa fra le ombre della notte. Navigavano da un paio d’ore, quando gli occhi acutissimi del malese scorsero un punto luminoso brillare sulla linea dell’orizzonte.
– Un veliero o un legno da guerra? – chiese con ansietà.
Sandokan, sempre immerso nei suoi dolorosi pensieri, non si era accorto di nulla.
Il punto luminoso ingrandiva paurosamente e pareva che s’alzasse sempre di più sulla linea dell’orizzonte. Quella luce bianca non doveva appartenere che ad un vascello a vapore. Doveva essere un fanale acceso alla cima del trinchetto. Giro-Batol cominciava a dimenarsi; le sue inquietudini aumentavano di momento in momento, tanto più che quel punto luminoso pareva che si dirigesse direttamente verso la canoa.
Ben presto al di sopra del fanale bianco ne comparvero altri due; uno rosso ed uno verde.
– Una nave a vapore – disse.
Sandokan non rispose. Forse non lo aveva udito.
– Mio capitano – ripetè. – Una nave a vapore!…
Il capo dei pirati di Mompracem questa volta si scosse, mentre un terribile lampo gli balenava nei cupi sguardi.
– Ah!… – disse.
Si volse con impeto e guardò l’immensa distesa del mare.
– Ancora un nemico? – mormorò, mentre la sua destra correva istintivamente al kriss.
– Lo temo, mio capitano – disse il malese.
Sandokan fissò, per alcuni istanti, quei tre punti luminosi che s’avvicinavano rapidamente, poi disse:
– Pare che corra verso di noi.
– Lo temo, mio capitano – rispose il malese.
– Il suo comandante avrà veduto il nostro canotto.
– È probabile. Cosa facciamo, mio capitano?
– Lasciamolo accostare.
– E ci prenderanno.
– Io non sono più la Tigre della Malesia, bensì un sergente dei sipai.
– E se qualcuno vi riconoscesse?…
– Ben pochi hanno veduto la Tigre della Malesia. Se quella nave venisse da Labuan vi sarebbe da temere; venendo dal largo potremo ingannare il suo comandante.
Rimase zitto per alcuni istanti, fissando attentamente il nemico, poi disse:
– Abbiamo da fare con una cannoniera.
– Che venga da Sarawack?
– È probabile, Giro-Batol. Giacché si dirige su di noi aspettiamola.
La cannoniera aveva infatti puntata la prora in direzione della canoa e accelerava la corsa per raggiungerla. Vedendola così lontana dalle coste di Labuan, forse credeva che gli uomini che la montavano fossero stati spinti così al largo da qualche colpo di vento ed accorreva per raccoglierli; forse però il suo comandante voleva accertarsi se si trattava di pirati o di naufraghi. Sandokan aveva dato ordine a Giro-Batol di riprendere i remi e di mettere la prora in direzione delle Romades, gruppo di isolette situate più al sud. Aveva ormai fatto il suo piano per ingannare il comandante.
Mezz’ora dopo la cannoniera si trovava a poche gomene dalla canoa. Era un piccolo legno a poppa bassa, armato di un solo cannone situato sulla piattaforma posteriore e attrezzato con un solo albero.
Il suo equipaggio non doveva superare i trenta o quaranta uomini. Il comandante, o l’ufficiale di quarto che fosse, fece manovrare in modo da passare a soli pochi metri dalla canoa, poi dato il comando d’arrestare le tambure, si curvò sul bordo gridando:
– Alt, o vi faccio colare a fondo!…
Sandokan si era vivamente alzato, dicendo in buon inglese:
– Per chi mi prendete?…
– Toh!… – esclamò l’ufficiale con stupore. – Un sergente dei sipai!… Cosa fate voi qui, al largo di Labuan!…
– Vado alle Romades, signore – rispose Sandokan.
– A cosa fare?
– Devo portare degli ordini per lo yacht di lord James Guillonk,
– Si trova laggiù quel legno?
– Sì, comandante.
– E vi andate su di una canoa?
– Non ho potuto trovare di meglio.
– Badate, perché vi sono dei prahos malesi che ronzano al largo.
– Ah!… – fece Sandokan, frenando a stento la gioia.
– Ieri mattina ne ho veduti due e scommetterei che venivano da Mompracem. Se avessi avuto qualche cannone di più non so se a quest’ora sarebbero ancora a galla.
– Mi guarderò da quei legni, comandante.
– Vi occorre nulla, sergente?
– No, signore.
– Buon viaggio.
La cannoniera riprese la corsa dirigendosi verso Labuan, mentre Giro-Batol orientava la vela per filare verso Mompracem.
– Hai udito? – gli chiese Sandokan.
– Sì, mio capitano.
– I nostri legni battono il mare.
– Vi cercano ancora, mio capitano.
– Non crederanno alla mia morte.
– No di certo.
– Quale sorpresa pel buon Yanez, quando mi vedrà. Bravo ed affezionato compagno!
Tornò a sedersi a poppa, cogli sguardi sempre fissi in direzione di Labuan e non parlò più. Il malese però lo intese parecchie volte a sospirare.
All’alba, solo centocinquanta miglia separavano i fuggiaschi da Mompracem, distanza che potevano superare in meno di ventiquattro o trenta ore se il vento non veniva meno.
Il malese trasse da un vecchio vaso di terra assicurato ad un traverso della canoa delle provvigioni e le offrì a Sandokan, ma questi, assorto sempre nelle sue contemplazioni e nelle sue angosce, non rispose nemmeno, né abbandonò la sua primiera posizione.
– È stregato – ripetè il malese scuotendo il capo. – Se è vero guai agli inglesi!…
Durante il giorno il vento cadde parecchie volte e la canoa, che affondava pesantemente nei cavi delle onde, imbarcò più volte molta acqua. Alla sera però un fresco vento del sud-est si levò, spingendola rapidamente verso l’ovest e si mantenne così anche l’indomani.
Al cader del giorno il malese, che si teneva in piedi a prua, scosse finalmente una massa oscura che si elevava sul mare.
– Mompracem!… – esclamò.
A quel grido, Sandokan, per la prima volta da che aveva posto piede sulla canoa, si mosse alzandosi di scatto.
Non era allora più l’uomo di prima: la malinconica espressione del suo viso era completamente scomparsa. I suoi occhi mandavano lampi e i suoi lineamenti non erano più alterati dal quel cupo dolore.
– Mompracem! – esclamò egli, raddrizzando l’alta statura.
E rimase lì a contemplare la sua selvaggia isola, il baluardo della sua potenza, della sua grandezza in quel mare che non a torto chiamava suo. Egli sentiva di ritornare, in quel momento, la formidabile Tigre della Malesia dalle leggendarie imprese.
I suoi sguardi, che sfidavano i migliori cannocchiali, scorsero le coste dell’isola, soffermandosi sull’alta rupe dove ondeggiava ancora la bandiera della pirateria, sulle fortificazioni che difendevano il villaggio e sui numerosi prahos che si cullavano nella baia.
– Ah!… Finalmente ti rivedo – esclamò.
– Siamo salvi, Tigre – disse il malese, che pareva impazzisse dalla gioia. Sandokan lo guardò quasi stupito.
– Merito ancora adunque questo nome, Giro-Batol? – chiese egli.
– Sì, capitano.
– Eppure credevo di non meritarlo più – mormorò Sandokan, sospirando. Afferrò la pagaia che serviva da timone e diresse la canoa verso l’isola che si immergeva lentamente fra le tenebre. Alle dieci, i due pirati, senza essere stati scorti da alcuno, approdavano presso la grande rupe.
Sandokan, nel riporre i piedi sulla sua isola, respirò a lungo e forse in quel momento non rimpiangeva Labuan, e forse anche per un momento dimenticò Marianna.
Girò rapidamente attorno alla rupe e raggiunse i primi gradini della tortuosa scala che menava alla grande capanna.
– Giro-Batol – disse, volgendosi verso il malese che si era arrestato. – Torna alla tua capanna, avverti i miei pirati del mio arrivo, ma di’ loro che mi lascino tranquillo poiché lassù devo dire certe cose, che devono essere un segreto per voi.
– Capitano, nessuno verrà a disturbarvi, poiché tale è il vostro desiderio. Ed ora, lasciate che vi ringrazi di avermi ricondotto qui e che vi dica che se vi occorre un uomo da sacrificare, fosse pure per salvare un inglese o una donna della loro razza, sarò sempre pronto.
– Grazie, Giro-Batol, grazie… ed ora vattene! – il pirata, ricacciando in fondo al cuore il ricordo di Marianna, involontariamente evocato dal malese, salì i gradini, elevandosi fra le tenebre.

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