I novanta uomini s’imbarcarono sui prahos: Yanez e Sandokan presero posto sul più grande e più solido, che portava doppi cannoni e una mezza dozzine di grosse spingarde e che per di più era difeso da grosse lamine di ferro.
Le ancore vennero salpate, le vele orientate e la spedizione uscì dalla baia fra le acclamazioni delle bande affollate sulla riva e sui bastoni.
Il cielo era sereno e il mare liscio come se fosse d’olio, però verso il sud apparivano alcune nuvolette di una tinta particolare, di una forma strana e che nulla presagivano di buono.
Sandokan, che oltre ad essere un cannocchiale eccellente era anche buon barometro, fiutò un prossimo perturbamento atmosferico, tuttavia non si inquietò.
– Se gli uomini non sono capaci di arrestarmi, tanto meno lo farà la tempesta. Mi sento tanto forte da sfidare anche i furori della natura – disse.
– Temi un violento uragano? – chiese Yanez.
– Sì, ma non mi farà tornare indietro. Anzi ci sarà favorevole, fratellino mio, poiché potremo sbarcare senza essere inquietati dagli incrociatori.
– E appena a terra, cosa farai?
– Non lo so ancora, ma mi sento capace di tutto, di affrontare anche l’intera squadra inglese se cercasse di sbarrarmi la via, come di lanciare i miei uomini contro la villa per espugnarla.
– Se tu annunci lo sbarco con qualche battaglia, il lord non rimarrà più fra boschi, ma fuggirà a Vittoria sotto la protezione del forte e dei navigli.
– È vero, Yanez – rispose Sandokan, sospirando. – E tuttavia bisogna che Marianna sia mia sposa, poiché sento che, senza di lei, mai si spegnerebbe il fuoco che mi divora il cuore.
– Ragione di più per agire colla massima prudenza, onde sorprendere il lord.
– Sorprenderlo! E credi tu che il lord non stia in guardia? Egli sa che io sono capace di tutto e avrà radunato nel suo parco dei soldati e dei marinai.
– Può essere, ma ricorreremo a qualche astuzia. Chissà, qualche cosa mi frulla già pel capo e potrebbe mutare. Ma, dimmi amico mio, si lascerà rapire Marianna?
– Oh! sì, me lo ha giurato.
– E la condurrai a Mompracem?
– Sì.
– E, dopo averla sposata, ve la terrai per sempre?
– Non lo so Yanez – disse Sandokan, emettendo un profondo sospiro. – Vuoi tu che la releghi nella mia selvaggia isola per sempre? Vuoi tu che ella viva per sempre fra i miei tigrotti che non sanno altro che trarre archibugiate, menare il kriss e la scure? Vuoi tu che io mostri ai suoi dolci occhi, spettacoli orrendi, sangue e stragi per ogni dove, che l’assordi colle urla dei combattenti e il ruggito dei cannoni e che la esponga a un continuo pericolo?… Dimmi, Yanez, nel mio caso, faresti tu ciò?
– Ma pensa, Sandokan, a ciò che diverrà Mompracem senza la sua Tigre della Malesia. Con te tornerebbe a brillare, tanto da eclissare Labuan e tutte le altre isole e farebbe ancora fremere i figli di quegli uomini che distrussero la tua famiglia e il tuo popolo. Vi sono migliaia di dayaki e di malesi che altro non aspettano che un appello per accorrere a ingrossare la banda delle tigri di Mompracem.
– Ho pensato a tutto ciò, Yanez.
– E cosa ti ha detto il cuore?
– L’ho sentito sanguinare.
– E nondimeno lasceresti perire la tua potenza per quella donna.
– L’amo, Yanez. Ah, non vorrei essere stato mai la Tigre della Malesia!…
Il pirata che, cosa insolita, era estremamente commosso, si sedette sull’affusto di un cannone prendendosi il capo fra le mani, come se volesse soffocare i pensieri che gli tumultuavano nel cervello.
Yanez lo guardò a lungo in silenzio, poi si mise a passeggiare pel ponte crollando a più riprese il capo.
Intanto i tre legni continuavano a veleggiare verso l’oriente, spinti però da un vento leggero e che per di più soffiava irregolarmente, facendo talora rallentare di molto la corsa. Invano gli equipaggi, che erano in preda ad una vivissima impazienza, che calcolavano metro per metro la via percorsa, aggiungevano nuove vele, fiocchi, piccole rande e scopamari per raccogliere maggior vento. La corsa diventava sempre più lenta, di mano in mano che le nubi si alzavano sull’orizzonte. Ciò però non doveva durare. Infatti verso le nove di sera, il vento cominciò a soffiare con qualche violenza venendo dalla direzione ove s’alzavano le nubi, segno evidente che qualche tempesta sconvolgeva l’oceano meridionale. Gli equipaggi salutarono con liete grida quei soffi vigorosi, niente affatto spaventati dall’uragano che li minacciava e che poteva diventare funesto pei loro legni. Il solo portoghese cominciò a diventare inquieto e avrebbe voluto diminuire almeno la superficie delle vele, ma Sandokan non glielo permise, ansioso come era di giungere presto sulle rive di Labuan, che a lui questa volta sembrava immensamente lontana.
All’indomani il mare era cattivissimo. Lunghe ondate che salivano dal sud, percorrevano quel vasto spazio, cozzandosi le une colle altre con profondi muggiti, facendo vivamente rollare e beccheggiare i tre legni. In cielo, poi, correvano sbrigliatamente immensi nuvoloni, neri come la pece e colle frange tinte di un rosso fuoco.
Alla sera il vento raddoppiò di violenza minacciando di spezzare gli alberi, se non si diminuiva la superficie delle vele.
Qualunque altro navigante, vedendo quel mare e quel cielo, si sarebbe affrettato a poggiare verso la terra più vicina, ma Sandokan, che sapeva ormai di essere a settanta od ottanta miglia da Labuan, e che piuttosto di perdere una sola ora avrebbe perduto volentieri uno dei suoi legni, non lo pensò nemmeno.
– Sandokan – disse Yanez che diventava sempre più inquieto. – Bada che noi corriamo un grave pericolo.
– Di che temi, fratello mio? – chiese la Tigre.
– Temo che l’uragano ci mandi tutti a bere nella grande tazza.
– I nostri legni sono solidi.
– Ma l’uragano mi pare che minacci di diventare tremendo.
– Non lo temo, Yanez. Andiamo innanzi, che Labuan non è lontana. Scorgi gli altri legni?
– Mi pare di vederne uno verso il sud. L’oscurità è così profonda che non ci si vede al di là di cento metri.
– Se ci perdono sapranno ritrovarci.
– Ma possono anche perdersi per sempre, Sandokan.
– Non retrocedo, Yanez.
– Sta’ in guardia, fratello.
In quel momento un lampo abbagliante squarciò le tenebre, illuminando il mare fino agli estremi limiti dell’orizzonte, seguito subito da un tuono spaventevole.
Sandokan, che era seduto, si alzò di scatto guardando fieramente le nubi e, stendendo la mano verso il sud, disse:
– Vieni a lottare con me, o uragano: io ti sfido!…
Attraversò il ponte e si mise alla ribolla del timone, mentre i suoi marinai assicuravano i cannoni e le spingarde, armi che non volevano perdere a nessun patto, e tiravano in coperta l’imbarcazione da sbarco e rafforzavano le manovre fisse triplicando i cavi.
Le prime raffiche giungevano già dal sud, con quella rapidità che sogliono acquistare i venti nelle tempeste, spingendo innanzi a loro le prime montagne d’acqua.
Il praho, colla velatura ridotta, si mise a filare colla rapidità di una freccia verso oriente, tenendo bravamente testa agli elementi scatenati e senza deviare di una sola linea dalla sua rotta, sotto la ferrea mano di Sandokan. Per mezz’ora durò un po’ di calma, rotta solo dai muggiti del mare e dallo scrosciare delle scariche elettriche che crescevano ad ogni istante di intensità, ma verso le undici l’uragano si scatenò quasi improvvisamente in tutta la sua terribile maestà; mettendo sottosopra cielo e mare.
Le nubi, accavallate sin dal giorno innanzi, correvano allora furiosamente attraverso lo spazio, ora sospinte in alto ed ora cacciate così abbasso da toccare, coi loro neri lembi, le onde, mentre il mare si precipitava con impeto strano verso il nord quasicché fosse una immensa fiumana.
Il praho, vero guscio di noce che sfidava la natura irritata, affogato dai marosi che lo assalivano d’ogni parte, barcollava disordinatamente ora sulle creste spumeggianti delle onde e ora nel fondo di mobili abissi, rovesciando gli uomini, facendo scricchiolare gli alberi, sbattere i boscelli e crepitare le vele con tanta forza che parevano fossero sempre lì lì per scoppiare.
Ma Sandokan, malgrado quel furioso rimescolamento d’acqua, non cedeva e guidava il legno verso Labuan, sfidando impavido la tempesta. Era bello vedere quell’uomo, fermo alla ribolla del timone, cogli occhi in fiamma, coi lunghi capelli sciolti al vento, irremovibile fra gli scatenati elementi che ruggivano a lui d’intorno; era ancora la Tigre della Malesia che non contento di aver sfidato gli uomini sfidava ora i furori della natura.
I suoi uomini non erano da meno di lui. Aggrappati alle manovre, miravano impassibili quegli assalti del mare, pronti ad eseguire la più pericolosa manovra, dovesse costare la vita a tutti.
E intanto l’uragano cresceva sempre d’intensità, quasi volesse spiegare tutta la sua potenza per tenere testa a quell’uomo che lo sfidava. Il mare si alzava in montagne d’acqua che correvano all’assalto con mille urla, mille tremendi ruggiti, avvallandosi le une e le altre e scavando abissi profondi che parevano dovessero giungere fino alle sabbie dell’oceano; il vento urlava su tutti i toni, spingendo innanzi a sé vere colonne d’acqua e rimescolando orribilmente le nubi, entro le quali rombava incessantemente il tuono.
Il praho lottava disperatamente opponendo alle onde che volevano trascinarlo al nord, i robusti fianchi. Si sbandava sempre più spaventosamente, si raddrizzava pari a un cavallo imbizzarrito, si tuffava sferzando l’acqua colla prua, gemeva come fosse lì lì per aprirsi in due e certi momenti rollava così tanto da temere che non si sarebbe più rimesso in equilibrio.
Lottare ancora contro quel mare che diventava sempre più impetuoso era follia. Bisognava assolutamente lasciarsi trasportare al nord, come forse avevano già fatto gli altri due prahos che da parecchie ore erano scomparsi.
Yanez, che comprendeva quanto era imprudente l’ostinarsi in quella lotta, stava per recarsi a poppa onde pregare Sandokan di cambiare rotta, quando una detonazione, che non si poteva confondere collo scroscio di una folgore, echeggiò al largo.
Un istante dopo una palla passava fischiando sopra la coperta, smussando il pennone di trinchetto.
Un urlo di rabbia scoppiò a bordo del praho, a quella inaspettata aggressione che nessuno certamente aspettava con un simile tempo e in momenti così critici.
Sandokan, abbandonata la ribolla ad un marinaio, si slanciò a prua cercando di scoprire l’audace che lo assaliva in mezzo alla tempesta.
– Ah! – esclamò egli. – Vi sono degl’incrociatori che vegliano ancora?
Infatti l’aggressore, che in mezzo a quel formidabile rimescolamento del mare, aveva lanciata così bene quella palla, era un grosso vascello a vapore sul cui picco sventolava la bandiera inglese e sulla cima dell’alberetto di maestro il gran nastro dei legni da guerra. Cosa faceva in pieno mare con quel tempo? Incrociava dinanzi le coste di Labuan o veniva da qualche vicina isola?
– Viriamo, Sandokan – disse Yanez, che lo aveva raggiunto.
– Sì, fratellino mio. Quel legno sospetta in noi dei pirati diretti a Labuan. Un secondo colpo di cannone tuonò sul ponte del vascello e una seconda palla fischiò attraverso l’attrezzatura del praho.
I pirati, non ostante i violenti rollii, si precipitarono verso i cannoni e le spingarde per rispondere, ma Sandokan li arrestò con un gesto.
Infatti non vi era bisogno. Il gran vascello, che si sforzava di tener testa alle onde che lo assalivano a prua, inabissandosi quasi tutto sotto il peso della sua costruzione in ferro, veniva suo malgrado trascinato verso il nord. In brevi istanti fu tanto lontano da non temere più le sue artiglierie.
– Peccato che mi abbia trovato in mezzo a questa tempesta – disse Sandokan con accento tetro. – L’avrei assalito ed espugnato malgrado la sua mole ed il suo equipaggio.
– Meglio così, Sandokan – disse Yanez. – Che il diavolo se lo porti e lo cacci in fondo al mare.
– Ma cosa faceva quel legno in pieno mare mentre tutti cercano un rifugio? Che siamo vicini a Labuan?
– Lo sospetto anch’io.
– Vedi nulla dinanzi a noi?
– Nulla fuorché montagne d’acqua.
– Eppure sento che il mio cuore batte forte, Yanez.
– I cuori talvolta s’ingannano.
– Non il mio. Ah!…
– Cosa hai veduto?
– Un punto oscuro verso l’est. L’ho distinto al chiarore d’un lampo.
– Ma quand’anche fossimo presso Labuan, come vorresti approdare con simile tempo?
– Approderemo, Yanez, dovessi mandare in frantumi il mio legno.
In quel momento si udì un malese gridare dall’alto del pennone di trinchetto:
– Terra dritto l’asta di prua!… Sandokan mandò un grido di gioia:
– Labuan!… Labuan!… – esclamò. – A me la ribolla.
Riattraversò il ponte malgrado le onde che lo spazzavano ad ogni istante e si mise al timone, lanciando il praho sulla via dell’est.
Mentre però si avvicinava alla costa, il mare pareva che raddoppiasse di furore, come se volesse impedire ad ogni costo lo sbarco. Onde mostruose, prodotte dai così detti flutti di fondo, balzavano in tutte le direzioni, mentre il vento raddoppiava di violenza rotto dalle alture dell’isola.
Sandokan però non cedeva e cogli occhi fissi verso l’est continuava impavido la sua via, valendosi della luce dei lampi per dirigersi. Ben presto si trovò a poche gomene dalla costa.
– Prudenza, Sandokan – disse Yanez che gli si era messo al fianco.
– Non temere, fratello.
– Bada alle scogliere.
– Le eviterò.
– Ma dove troverai un riparo?
– Lo vedrai.
A due gomene si disegnava confusamente la costa contro la quale rompevasi con furia indicibile il mare. Sandokan la esaminò per alcuni secondi, poi con un vigoroso colpo di barra piegò a babordo.
– Attenzione! – gridò ai pirati che stavano ai bracci delle manovre.
Spinse il praho innanzi con una temerità da far drizzare i capelli ai più intrepidi lupi di mare, attraversò uno stretto passo aperto fra due grandi rupi ed entrò in una piccola ma profonda baia, che pareva terminasse in un fiume.
La risacca era però così violenta entro quel rifugio da mettere il praho in gravissimo pericolo. Era meglio sfidare l’ira del mare aperto che un approdo su quelle sponde spazzate dalle onde rotolanti ed accavallantesi.
– Non si può tentare nulla, Sandokan – disse Yanez. – Se cerchiamo di accostarci manderemo il nostro legno in frantumi.
– Tu sei un abile nuotatore, è vero? – chiese Sandokan.
– Come i nostri malesi.
– Delle onde non hai paura.
– Non le temo.
– Allora noi approderemo egualmente.
– Cosa vuoi tentare?
Invece di rispondere Sandokan gridò:
– Paranoa!… Alla barra!…
Il dayako si slanciò verso poppa afferrando la ribolla che Sandokan gli abbandonava.
– Cosa devo fare? – gli chiese.
– Mantenere per ora il praho attraverso il vento – rispose Sandokan. – Bada di non mandarlo attraverso i banchi.
– Non temete, Tigre della Malesia.
Si volse verso i marinai e disse loro:
– Preparate la scialuppa e issatela sulla murata. Quando l’onda spazzerà il bordo la lascerete andare.
Quali intenzioni aveva la Tigre della Malesia? Voleva tentare lo sbarco in quella scialuppa, misero giuocattolo fra quelle tremende ondate? I suoi uomini, udendo quel comando, si guardarono l’un l’altro con viva ansietà, pure s’affrettarono ad obbedire senza chiedere spiegazioni.
Alzarono a forza di braccia la scialuppa e la issarono sulla murata di tribordo, dopo d’avervi messo dentro, per ordine di Sandokan, due carabine, delle munizioni e dei viveri. La Tigre della Malesia s’avvicinò a Yanez dicendogli:
– Salì nella scialuppa, fratellino mio.
– Cosa vuoi tentare, Sandokan?
– Io voglio approdare.
– Noi andremo a fracassarci contro la spiaggia.
– Bah!… Sali Yanez.
– Tu sei pazzo.
Invece di rispondere Sandokan lo prese e lo depose nella scialuppa, poi a sua volta vi balzò dentro. Un’onda mostruosa entrava allora nella baia muggendo tremendamente.
– Paranoa! – gridò Sandokan. – Sta’ pronto a virare di bordo.
– Devo uscire ancora in mare? – chiese il dayako.
– Risali verso il nord mettendoti alla cappa. Quando il mare si sarà calmato tornerai qui.
– Va bene, capitano. Ma voi?…
– Approderò…
– Vi lascerete la vita.
– Taci!… State attenti a lasciar la scialuppa! Ecco l’onda!
Il cavallone si avvicinava colla cresta coperta di candida spuma. Si spezzò a metà dinanzi le due sponde, poi entrò nella baia precipitandosi addosso al praho.
In un baleno gli fu addosso avvolgendolo in un nembo di spuma e balzando attraverso le murate.
– Lascia andare – urlò Sandokan.
La scialuppa abbandonata a se stessa fu portata via assieme ai due coraggiosi che la montavano. Quasi nel medesimo istante il praho virava di bordo ed approfittando d’una controondata usciva al largo scomparendo dietro una delle scogliere.
– Arranchiamo, Yanez – disse Sandokan afferrando un remo. – Noi sbarcheremo a Labuan malgrado la tempesta.
– Per Giove! – esclamò il portoghese. – È una pazzia!
– Arranca!…
– E l’urto?
– Zitto! Attento alle onde!
L’imbarcazione si dondolava spaventosamente fra la spuma della risacca, ora scendendo ed ora librandosi fra le creste. Le onde però la spingevano verso la spiaggia, la quale, per buona fortuna, scendeva dolcemente ed era priva di scogliere.
Sollevata da un’altra ondata percorse cento metri. Salì una cresta, poi pricipitò, quindi avvenne un urto violentissimo.
I due coraggiosi si sentirono mancare il fondo sotto i piedi. La chiglia era stata frantumata di colpo.
– Sandokan! – gridò Yanez che vedeva entrare l’acqua attraverso le squarciature.
– Non abbandonare…
La voce fu soffocata da un tremendo colpo di mare succedutosi al primo. La scialuppa fu nuovamente sollevata. Si dondolò un istante sulla cresta del cavallone poi precipitò innanzi toccando nuovamente, ma le onde rotolanti la spinsero ancora più innanzi sbattendola contro il tronco di un albero con tale violenza che i due pirati furono sbalzati fuori. Sandokan, che era andato a cadere in mezzo ad un ammasso di foglie e di rami, s’era subito rialzato raccogliendo le due carabine e le munizioni.
Una nuova ondata risaliva allora la sponda. Trovata la scialuppa la rotolò per qualche tratto, poi la spazzò via sommergendola.
– All’inferno tutti gl’innamorati! – gridò Yanez che si era alzato tutto pesto. – Sono cose da pazzi, queste.
– Ma sei ancora vivo? – disse Sandokan ridendo.
– Volevi che mi fossi accoppato?
– Non me ne sarei più consolato, Yanez! Eh! guarda il praho!
– Come? Non ha preso il largo?
Il veliero ripassava allora dinanzi all’imboccatura della baia, filando colla rapidità di una freccia.
– Che fedeli compagni – disse Sandokan. – Prima di allontanarsi hanno voluto accertarsi se noi siamo approdati.
Si strappò di dosso la larga fascia di seta rossa e la spiegò al vento. Un istante dopo uno sparo echeggiava sul ponte del veliero.
– Ci hanno scorti – disse Yanez. – Speriamo che si salvino.
Il praho aveva virato di bordo riprendendo la sua corsa verso il nord. Yanez e Sandokan stettero sulla spiaggia finché poterono scorgerli, poi si cacciarono sotto i grandi vegetali per mettersi al coperto dalla pioggia che cadeva a catinelle.
– Dove andiamo Sandokan? – gli chiese Yanez.
– Non lo so.
– Non sai dove ci troviamo?
– È impossibile per ora. Suppongo però di non essere lontano dal fiumicello.
– Di quale fiume parli?
– Di quello che servì di rifugio al mio praho dopo la battaglia contro l’incrociatore.
– Si trova presso quel luogo la villa di lord James?
– A qualche miglio.
– Bisognerà quindi cercare prima quel corso d’acqua.
– Certamente, Yanez.
– Domani perlustreremo la costa.
– Domani! – esclamò Sandokan. – E credi tu che io possa attendere tante ore e rimanermene qui inoperoso? Ma non sai tu adunque che ho il fuoco nelle vene? Non ti sei accorto che noi siamo a Labuan, sulla terra ove brilla la mia stella?
– Vuoi che non lo sappia che ci troviamo nell’isola delle giacche rosse?
– Allora tu devi comprendere le mie impazienze.
– Niente affatto, Sandokan – rispose pacatamente il portoghese. – Per Giove! Sono ancora tutto scombussolato e tu pretendi che ci mettiamo in cammino con questa notte d’inferno! Tu sei pazzo, fratellino mio.
– Il tempo fugge, Yanez. Non ti ricordi di ciò che ha detto il sergente?…
– Perfettamente, Sandokan.
– Da un momento all’altro lord James può riparare in Vittoria.
– Non lo farà certamente con questo tempaccio cane.
– Non scherzare, Yanez.
– Non ne ho alcuna voglia, Sandokan. Orsù, discutiamo con calma, fratellino mio. Tu vuoi andare alla villa?… A cosa fare?…
– Per vederla, almeno – disse Sandokan, con un sospiro.
– E per commettere poi qualche imprudenza, è vero?…
– No.
– Hum!… So di che cosa sei capace. Calma, fratellino mio. Pensa che siamo in due soli e che alla villa vi sono dei soldati. Aspettiamo che i prahos ritornino, poi agiremo.
– Ma se tu sapessi cosa provo trovandomi su questa terra! – esclamò Sandokan con voce rauca.
– Me lo immagino, ma io non posso permetterti di commettere delle pazzie che possono esserti fatali. Vuoi recarti alla villa per accertarti che Marianna vi si trova ancora?…Vi andremo, dopo però che l’uragano sarà cessato. Con questa oscurità e questa pioggia non potremmo né orientarci né trovare il fiumicello.
"Domani, quando il sole sarà spuntato, ci metteremo in cammino. Per ora cerchiamo un rifugio."
– Ed io dovrò aspettare fino a domani?
– Non mancano che tre ore all’alba.
– Una eternità!…
– Una miseria, Sandokan. E poi nel frattempo il mare può calmarsi, il vento diminuire di violenza ed i prahos ritornare qui.
"Orsù, gettiamoci sotto quell’arecche dalle foglie smisurate, che ci proteggeranno meglio d’una tenda e aspettiamo che spunti l’alba." Sandokan era indeciso a seguire il consiglio. Guardò il fedele amico sperando di risolverlo ancora a partire, poi cedette e si lasciò cadere presso il tronco dell’albero, mandando un lungo sospiro.
La pioggia continuava a cadere con estrema violenza e sul mare l’uragano infuriava sempre tremendamente. Attraverso gli alberi, i due pirati scorgevano le onde accavallarsi rabbiosamente e scagliarsi contro la spiaggia con impeto irresistibile, frangendosi e rifrangendosi.
Scorgendo quelle ondate, che invece di scemare sempre più ingigantivano, Yanez non potè trattenersi dal chiedersi.
– Cosa accadrà dei nostri prahos con simile tempesta?… Credi tu, Sandokan, che si salveranno?… Se dovessero naufragare cosa succederebbe di noi?…
– I nostri uomini sono valenti marinai – rispose Sandokan. – Essi sapranno trarsi d’impiccio.
– E se naufragassero?… Cosa potresti fare tu senza il loro aiuto?
– Cosa farei?… Rapirei egualmente la fanciulla.
– Tu corri troppo, Sandokan. Due soli uomini, siano pure due tigri della selvaggia Mompracem, non possono affrontare venti, trenta e forse cinquanta moschetti.
– Ricorreremo all’astuzia.
– Hum!
– Mi crederesti capace di rinunziare al mio progetto?… No, Yanez!… Io non tornerò a Mompracem senza Marianna.
Yanez non rispose. Accese una sigaretta, e si sdraiò in mezzo all’erba che era quasi asciutta essendo protetta dalle larghe foglie dell’albero, chiudendo gli occhi.
Sandokan invece s’alzò spingendosi verso la spiaggia. Il portoghese, che non dormiva, lo vide aggirarsi sul margine della foresta ora salendo verso il nord ed ora ridiscendendo verso il sud.
Certamente cercava di orientarsi e di riconoscere quella costa che forse aveva già percorsa durante il suo soggiorno in quell’isola.
Quando ritornò cominciava ad albeggiare. La pioggia da qualche ora era cessata ed anche il vento non ruggiva più così forte attraverso i mille alberi della foresta.
– So dove ci troviamo – disse a Yanez.
– Ah!… – fece questi, preparandosi ad alzarsi.
– Il fiumicello deve trovarsi verso il sud e forse non è lontano.
– Vuoi che andiamo a cercarlo?…
– Sì, Yanez.
– Spero che non ardirai avvicinarti alla villa di giorno.
– Ma questa sera nessuno mi tratterrà.
Poi aggiunse coll’intonazione di una persona che voglia esprimere l’eternità:
– Dodici ore ancora!… Quale tortura!…
– Nella foresta il tempo passa presto, Sandokan – rispose Yanez sorridendo.
– Andiamo.
– Sono pronto a seguirti.
Si gettarono in ispalla le carabine, si cacciarono nelle tasche le munizioni e si internarono nella grande foresta, cercando però di non allontanarsi troppo dalla spiaggia.
– Eviteremo le profonde insenature che descrive la costa – disse Sandokan.
– La via sarà meno facile ma più breve.
– Badiamo a non smarrirci.
– Non temere, Yanez!
La foresta non presentava che rari passaggi, ma Sandokan era un vero uomo dei boschi, che sapeva strisciare come un serpente e dirigersi anche senza stelle e senza sole. Si diresse verso il sud, tenendosi a breve distanza dalla costa onde cercare prima di tutto il fiumicello entro cui erasi cacciato nella precedente spedizione. Giunto là non era difficile raggiungere la villa che il pirata sapeva essere lontana forse un paio di chilometri. La via però, di mano in mano che procedevano verso il sud, diventava più difficile in causa della strage fatta dall’uragano. Numerosi alberi, abbattuti dal vento, sbarravano i passaggi, costringendo i due pirati a fare ardite ascensioni e lunghi giri. Poi erano ammassi immensi di rami che imbarazzavano la loro via e immense quantità di liane che si allacciavano alle loro gambe, ritardando il loro cammino. Tuttavia, lavorando coi kriss, salendo e scendendo, saltando e scalando alberi e tronchi atterrati, tiravano innanzi cercando sempre di non allontanarsi troppo dalla costa. Verso il mezzodì, Sandokan si arrestò, dicendo al portoghese:
– Siamo vicini.
– Al fiume o alla villa?…
– Al corso d’acqua – rispose Sandokan. – Non odi questo gorgoglio che si ripercuote sotto queste fitte volte di verzura?…
– Sì – disse Yanez, dopo aver ascoltato qualche istante. – Che sia proprio il fiumicello che noi cerchiamo?
– Non posso ingannarmi. Io ho percorso questi luoghi.
– Andiamo innanzi.
Attraversarono lestamente l’ultimo lembo della grande foresta e dieci minuti dopo si trovavano dinanzi ad un piccolo corso d’acqua, il quale sboccava in una baia graziosa cinta d’alberi immensi.
Il caso li aveva condotti in quel medesimo luogo dove avevano approdato i prahas della prima spedizione. Vi si vedevano ancora le travi lasciatevi dal secondo, quando respinto dalle tremende cannonate dell’incrociatore erasi colà rifugiato per riparare le sue gravi avarie.
Sulla riva v’erano pezzi di pennoni, frammenti di murate, lembi di tela, cordami, delle palle da cannone, delle scimitarre e delle scuri infrante e dei rimasugli di attrezzi.
Sandokan gettò un cupo sguardo su quegli avanzi che gli rammentavano la sua prima sconfitta e sospirò pensando a quei prodi che erano stati distrutti dal fuoco implacabile dell’incrociatore.
– Riposano laggiù, fuori della baia, in fondo al mare – disse a Yanez con voce triste. – Poveri morti, ancora invendicati!…
– È qui che tu sei approdato?…
– Sì, qui, Yanez. Allora ero l’invincibile Tigre della Malesia, allora non avevo catene attorno al cuore né visioni dinanzi gli occhi.
"Mi sono battuto come un disperato, trascinando i miei uomini all’abbordaggio con furore selvaggio, ma mi hanno schiacciato.
"Il maledetto che ci copriva di ferro e di piombo era là!… Mi pare ancora di vederlo come in quella tremenda notte che io l’ho assalito alla testa di pochi prodi. Che momento terribile, Yanez, quale strage!… Tutti sono caduti, tutti, meno uno: io!…"
– Rimpiangi quella sconfitta, Sandokan?
– Non lo so. Senza quella palla che mi colpì, forse non avrei conosciuto la fanciulla dai capelli d’oro.
Tacque e discese verso la spiaggia, spingendo gli sguardi sotto le azzurre acque della baia, poi s’arrestò colle braccia tese, additando a Yanez il luogo ove era avvenuto il tremendo abbordaggio.
– I prahos riposano laggiù, – disse, – chissà quanti morti contengono ancora nei loro scafi.
Si sedette sul tronco di un albero caduto forse per decrepitezza, si prese il capo fra le mani e s’immerse in profondi pensieri.
Yanez lo lasciò assorto nelle sue meditazioni e s’avventurò fra le scogliere frugando, con un bastone acuminato, nei crepacci per vedere se riusciva a scoprire qualche ostrica gigante.
Dopo d’aver girovagato per un quarto d’ora, tornò alla spiaggia portandone una così grossa che era imbarazzato ad alzarla. Accendere un bel fuoco ed aprirla fu per lui l’affare di pochi istanti.
– Orsù, fratellino mio, lascia i prahos sott’acqua ed i morti in bocca ai pesci e vieni a dare un colpo di dente a questa polpa squisita. Già anche pensando e ripensando non fai venire a galla né gli uni né gli altri.
– È vero, Yanez – rispose Sandokan sospirando. – Quei prodi non ritorneranno in vita più mai.
La colazione fu squisita. Quell’ostrica gigantesca conteneva una polpa così delicata da fare andare in sollucchero quell’ottimo portoghese, a cui l’aria marina unita ai profumi della foresta avevano aguzzato straordinariamente l’appetito. Terminato quel pasto abbondantissimo, Yanez si preparava a sdraiarsi sotto un superbo durion che torreggiava sulla riva del fiume per fumarsi beatamente un paio di sigarette, ma Sandokan con un gesto gli indicò la foresta.
– La villa è forse lontana – gli disse.
– Non sai precisamente dove si trova?
– Vagamente, avendo percorso questi luoghi in preda al delirio.
– Diavolo!
– Oh! Non temere Yanez. Io saprò trovare il sentiero che conduce al parco.
– Andiamo, giacché lo vuoi; basta però di non commettere imprudenze.
– Sarò calmo, Yanez.
– Una parola ancora, fratellino.
– Cosa vuoi?
– Spero che attenderai la notte per entrare nel parco.
– Sì Yanez.
– Me lo prometti?
– Hai la mia parola.
– Allora in marcia.
Seguirono per qualche tratto la riva destra del fiumicello, poi si gettarono risolutamente nella grande foresta.
Pareva che l’uragano avesse infuriato tremendamente in quella parte dell’isola. Numerosi alberi, abbattuti o dal vento o dalle folgori, giacevano al suolo; alcuni si trovavano ancora semisospesi, essendo stati trattenuti dalle liane ed altri interamente coricati. Dappertutto, poi, cespugli lacerati e contorti, ammassi di fogliami e di frutta, rami spezzati, in mezzo ai quali urlavano parecchie scimmie rimaste ferite. Malgrado quei numerosi ostacoli, Sandokan non si arrestava. Continuò a marciare fino al tramonto, senza mai esitare sulla via da prendere. Calava la sera e già Sandokan disperava di trovare il fiumicello, quando si trovò improvvisamente dinanzi ad un largo sentiero.
– Cos’hai veduto? – chiese il portoghese, vedendolo fermarsi.
– Siamo presso la villa – rispose Sandokan con voce soffocata. – Questo sentiero conduce al parco.
– Per Bacco! Che bella fortuna, fratellino mio! Tira innanzi, ma bada di non commettere pazzie.
Sandokan non aspettò che terminasse la frase. Armata la carabina onde non venire sorpreso disarmato, si slanciò sul sentiero con tanta rapidità che il portoghese penava a stargli vicino.
– Marianna! fanciulla divina!… Amor mio! – esclamava divorando la via con crescente rapidità. – Non aver più paura che ora ti sono vicino!…
In quel momento il formidabile pirata avrebbe rovesciato un reggimento intero pur di giungere alla villa. Non aveva paura più di nessuno; la morte stessa non lo avrebbe fatto retrocedere.
Anelava, si sentiva invaso da un fuoco intenso che ardevagli nel cuore e nel cervello, agitato da mille timori. Temeva di giungere troppo tardi, di non ritrovare più la donna così immensamente amata e correva sempre più, dimenticando ogni prudenza, fracassando e schiantando i rami dei cespugli, lacerando impetuosamente le liane, saltando con slanci da leone i mille ostacoli che gli sbarravano la via.
– Ehi! Sandokan, pazzo indemoniato – diceva Yanez che trottava come un cavallo. – Aspetta un po’ che ti raggiunga! Fermati, per mille spingarde, o mi farai scoppiare.
– Alla villa!… alla villa! – rispondeva invariabilmente il pirata.
Non si arrestò che dinanzi alle palizzate del parco, più per aspettare il compagno che per prudenza o stanchezza.
– Auff! – esclamò il portoghese raggiungendolo. – Credi che io sia un cavallo per farmi correre così? La villa non scappa, te l’assicuro io, e poi tu non sai chi può celarsi dietro a quella cinta.
– Non ho paura degli inglesi – rispose la Tigre che era in preda ad una viva esaltazione.
– Lo so, ma se tu ti fai ammazzare, non vedrai più la tua Marianna.
– Ma io non posso rimanere qui, bisogna che io veda la lady.
– Calma, fratellino mio. Ubbidiscimi e vedrai che qualche cosa potrai vedere. Gli fece cenno di stare zitto e si arrampicò sulla cinta coll’agilità d’un gatto, guardando attentamente nel parco.
– Mi pare che non ci sia alcuna sentinella – disse. – Entriamo dunque.
Si lasciò cadere dall’altro lato mentre Sandokan faceva altrettanto e tutti e due s’inoltrarono silenziosamente nel parco, tenendosi nascosti dietro ai cespugli e alle aiuole, e cogli occhi fissi sulla palazzina che si scorgeva confusamente fra le tenebre.
Erano così giunti a un tiro d’archibugio, quando Sandokan s’arrestò di botto spingendo innanzi a sé la carabina.
– Fermati Yanez – mormorò.
– Cos’hai veduto?
– Degli uomini sono fermi dinanzi alla palazzina.
– Che sia il lord con Marianna?
Sandokan, a cui batteva furiosamente il cuore, si alzò lentamente e aguzzò gli occhi guardando quelle figure umane con profonda attenzione.
– Maledizione! – mormorò digrignando i denti. – Dei soldati!…
– Oh! oh! La matassa s’imbroglia – brontolò il portoghese. – Cosa si fa?
– Se vi sono dei soldati è segno che Marianna si trova ancora nella villa.
– Parrebbe anche a me.
– Attacchiamoli adunque.
– Sei pazzo!… Vuoi farti uccidere? Noi siamo in due e loro sono forse in dieci, quindici, fors’anche in trenta.
– Ma bisogna che io la veda! – esclamò Sandokan guardando il portoghese con due occhi che parevano quelli d’un pazzo.
– Calmati, fratellino mio – disse Yanez afferrandolo strettamente per un braccio onde impedirgli di commettere qualche pazzia. – Calmati e forse la vedrai.
– In qual modo?
– Aspettiamo che faccia tardi.
– E poi?
– Ho il mio progetto. Sdraiati qui vicino, frena gli impeti del cuore e non avrai da pentirti.
– Ma i soldati?
– Per Giove! Spero che andranno a dormire.
– Hai ragione, Yanez: aspetterò!
Si coricarono dietro un folto cespuglio ma in modo da non perdere di vista i soldati e attesero il momento opportuno per agire.
Passarono, due tre, quattro ore, lunghe per Sandokan come quattro secoli, poi finalmente i soldati rientrarono nella villa chiudendo fragorosamente la porta. La Tigre fece atto di slanciarsi innanzi, ma il portoghese lo trattenne rapidamente, poi trascinandolo sotto la fitta ombra d’un grandissimo pombo, gli disse, incrociando le braccia e guardandolo fisso:
– Dimmi, Sandokan: cosa speri di fare tu questa notte?
– Vederla.
– E credi che sia cosa facile?… Hai trovato il modo di poterla vedere innanzi a tutto?
– No, ma…
– Sa la tua fanciulla che tu sei qui?…
– Non è possibile.
– Bisognerebbe quindi chiamarla.
– Sì.
– Ed i soldati usciranno poiché non si può ammettere che siano sordi e ci prenderanno a colpi di carabina.
Sandokan non rispose.
– Vedi bene, mio povero amico, che questa notte nulla potresti fare.
– Posso arrampicarmi fino alle sue finestre – disse Sandokan.
– E non hai veduto quel soldato imboscato presso l’angolo del padiglione?
– Un soldato?…
– Sì, Sandokan. Guarda: si vede brillare la canna del suo fucile.
– Cosa mi consigli di fare adunque?… Parla!… La febbre mi divora!…
– Sai tu quale parte del parco frequenta la tua fanciulla?
– Tutti i giorni si recava a ricamare nel chiosco cinese.
– Benissimo. Dove si trova?
– È qui vicino.
– Conducimi colà.
– Cosa vuoi fare, Yanez?
– Bisogna avvertirla che noi stiamo qui.
La Tigre della Malesia, quantunque provasse tutte le pene dell’inferno nell’allontanarsi da quel luogo, si cacciò in un viale laterale e condusse Yanez nel chiosco. Era quello un grazioso padiglioncino, dalle pareti traforate e dipinto a vivaci colori e sormontato da una specie di cupola di metallo dorato, irta di punte e di draghi cigolanti.
All’intorno si estendeva un boschetto di lillà e di grandi cespi di rose della Cina esalanti acuti profumi.
Yanez e Sandokan, dopo d’aver armate le carabine, non essendo certi che fosse deserto, v’entrarono. Non vi era nessuno.
Yanez accese uno zolfanello e vide sopra un leggerissimo tavolo lavorato, un cestello contenente dei pizzi e del filo e presso di esso una mandola intarsiata di madreperla.
– Cose sue? – chiese a Sandokan.
– Sì – rispose questi con un accento d’infinita tenerezza.
– Sei certo che qui ritorni?
– È il suo luogo preferito. È qui che quella divina fanciulla viene a respirare l’aria imbalsamata dai lillà in fiore, che viene a cantare le sue dolci canzoni del paese natìo ed è qui ove ella mi giurò eternamente affezione.
Yanez staccò da un libriccino un foglietto di carta, si frugò in una tasca e trovato un pezzo di matita, mentre Sandokan accendeva un altro zolfanello, scrisse le seguenti parole:
Siamo sbarcati ieri durante l’uragano. Domani sera, alla mezzanotte, saremo sotto alle vostre finestre. Procurate una fune per aiutare la scalata a Sandokan.
Yanez de Gomera
– Spero che il mio nome non le sarà ignoto – disse.
– Oh! No – rispose Sandokan. – Ella sa che tu sei il mio miglior amico. Piegò la carta e la mise nella cesta da lavoro, in modo che si potesse subito vedere, mentre Sandokan strappate alcune rose della Cina ve le gettava sopra.
I due pirati si guardarono in viso l’un l’altro alla livida luce d’un lampo; l’uno era calmo, l’altro era in preda ad una grande emozione.
– Andiamo, Sandokan – disse Yanez.
– Ti seguo – rispose la Tigre della Malesia, con un sospiro represso.
Cinque minuti dopo varcavano le palizzate del parco ricacciandosi in mezzo alla tenebrosa foresta.
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